La posizione dell’INU sulla riduzione preventiva del rischio sismico

25/06/2012
Documento redatto dal Gruppo di lavoro INU “Vulnerabilità sismica urbana”

L’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), Ente di diritto pubblico di alta cultura e coordinamento tecnico giuridicamente riconosciuto (DPR 1114/49), nonché Associazione di protezione ambientale (DM 162/1997), fondato nel 1930, è attivo negli studi edilizi e urbanistici e nella difesa e diffusione dei princìpi della pianificazione territoriale e urbanistica. Per raggiungere questi fini presta attività di consulenza e ricerca con le amministrazioni pubbliche statali centrali e periferiche, nonché col il sistema delle autonomie locali, reso possibile dall’articolazione dell’Istituto in Sezioni regionali.

A partire dagli anni 1990 l’INU ha dedicato con continuità molta attenzione al tema della riduzione preventiva del rischio sismico nel contesto delle ordinarie politiche di governo del territorio, promuovendo  studi e sperimentazioni in merito, in collaborazione con le Regioni, con il Servizio sismico nazionale, con gli enti locali. Ne sono scaturite indicazioni per politiche selettive di protezione sismica (Struttura urbana minima SUM), per valutazioni di vulnerabilità dei sistemi urbani applicabili alla pianificazione (vedi esperienze in Emilia-Romagna) e per il coordinamento degli interventi edilizi all’interno degli aggregati (vedi ancora esperienze in Emilia-Romagna): a tali indicazioni  INU ha dato rilievo tramite numerose pubblicazioni. L’importanza delle tematiche sviluppate dall’INU ha trovato conferma  ad es. nell’attenzione chela nuova Normativatecnica per le costruzioni (2008) dedica al problema dell’intervento negli aggregati, pur affrontandolo solo in chiave edilizia. Le tematiche della SUM  e della valutazione della vulnerabilità urbana hanno trovato parziale riscontro nella legislazione di alcune regioni (es. Umbria) e recentemente anche negli studi proposti dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici per l’uso della NTC nei centri storici.

La crisi sismica in corso

La crisi sismica iniziata nel maggio 2012 e che ha registrato tre scosse di entità superiore al 5° grado della scala Richter, oltre ad innumerevoli scosse di minor intensità, sta interessando Lombardia e Veneto, ma principalmente Emilia, dove  ha colpito un sistema insediativo di rilevante interesse sia per quanto riguarda i centri storici (forte riferimento in un’armatura urbana molto vitale) sia per quanto riguarda l’insediamento diffuso nel territorio rurale. Si tratta, tra l’altro, di una delle aree più sviluppate d’Europa sotto l’aspetto industriale, sede dei distretti bio-medicale, della meccatronica, della ceramica,  dell’agro-industriale e di un fitto tessuto di imprese manifatturiere.

Ancora una volta un evento sismico ci pone di fronte a vittime e disastri con danni alle strutture produttive, alle abitazioni, ai monumenti ed ai tessuti dei centri storici, mettendo in pericolo l’identità  stessa dei luoghi e la pur elevata qualità urbana degli insediamenti: non è possibile procrastinare quella seria  e costante politica di prevenzione sismica, anche attraverso il governo del territorio, che INU auspica da anni.

Nel processo di ricostruzione dopo questo evento, proprio tenendo conto della scarsità di risorse e dell’urgenza delle problematiche economiche, è necessario introdurre elementi di prevenzione del rischio, come di seguito specificato.

Patrimonio storico

In continuità con il tradizionale approccio urbanistico dell’Emilia-Romagna per la conservazione e la rivitalizzazione degli insediamenti storici e del relativo tessuto socio-economico, si segnala l’urgenza di una rapida ricognizione (almeno qualitativa) dei livelli di rischio preesistenti all’interno degli insediamenti storici ed accentuatisi a seguito del sisma. Qui il rischio deriva dalla combinazione di pericolosità dei luoghi,  di vulnerabilità del patrimonio edilizio e infrastrutturale (preesistente ed aumentata dal danneggiamento, ma non tale da generare sistematiche distruzioni), di  vulnerabilità aggiuntiva dovuta all’aggregazione edilizia, alla morfologia  urbana e alla presenza di elementi critici come le torri e i campanili; di  forte esposizione di persone,  beni monumentali e testimoniali,  attività economiche e servizi pubblici. La ricognizione, con i metodi speditivi disponibili, deve considerare la funzionalità dei sistemi urbani e va finalizzata all’ulteriore e progressivo ridimensionamento delle “zone rosse”, specie là dove la delimitazione delle stesse zone è determinata  non tanto dal livello di danno edilizio quanto dal danno indotto da alcuni elementi critici in un contesto di morfologia urbana densa.  In tal caso, la  riduzione di alcuni fattori di danno indotto dovrà considerare gli aspetti funzionali e dovrà preferibilmente avvenire con interventi di consolidamento, evitando al massimo le demolizioni  e, se del caso, effettuando solo le  inevitabili demolizioni con tecniche e modalità che consentano poi il ripristino degli edifici storici, in accordo con le Soprintendenze per quanto di competenza. Questa procedura può accelerare il recupero degli ambiti meno colpiti, il rientro della popolazione nelle abitazioni con livelli di rischio accettabili, la ripresa delle attività economiche, delle relazioni sociali e culturali caratteristiche degli insediamenti storici della bassa pianura emiliana. Va inoltre segnalata l’importanza di utilizzare il patrimonio conoscitivo che la pianificazione emiliana contiene in merito al processo di formazione dei tessuti edilizi storici e all’identificazione delle unità edilizie (in via preliminare coincidenti con le unità strutturali della NTC) per facilitare i censimenti di agibilità ed il complesso coordinamento della progettazione degli interventi di recupero edilizio all’interno degli aggregati, così come richiesto dalla NTC.

Anche per le case rurali, insostituibile testimonianza della civiltà contadina,  occorre pensare alla ricognizione del danno all’edilizia diffusa, soprattutto  in modo  finalizzato a  definire politiche di recupero articolate in funzione del valore storico architettonico e storico testimoniale del patrimonio  e occorre produrre indicazioni per la comprensione e per la riduzione delle vulnerabilità collegate alle caratteristiche morfo-strutturali e  costruttive di tale patrimonio.

Edifici produttivi

Nonostante l’urgenza di mantenere la continuità produttiva di attività fortemente internazionalizzate, che rischiano di perdere competitività, grazie alle soluzioni provvisorie consentite dal DL 74/2012, occorre non  sottovalutare costi e  complessità della successiva (dopo sei mesi, sempre secondo il DL 74/12) messa in sicurezza degli edifici  produttivi, tenuto conto delle caratteristiche sismiche dei suoli e delle tipologie morfo-strutturali. I prevedibili  costi potrebbero comportare un’accentuazione delle esigenze di delocalizzazione.

L’urgenza delle soluzioni di deve essere perciò da subito  coniugata ad una visione lungimirante, capace di prevedere i possibili scenari socio-economici conseguenti alle ipotesi di delocalizzazione a brevissimo  (nelle ampie aree cortilive) e breve raggio (in edifici produttivi disponibili nel raggio di qualche centinaio di metri o poco più)  ed alle ipotesi di delocalizzazione a medio raggio (es. comuni contermini a quelli più colpiti). Le amministrazioni locali dovranno in ogni caso, per evitare possibili incrementi di rischio sismico e per ridurre i costi sociali,   individuare tutte le forme di incentivo affiancabili ai contributi per la ricostruzione (semplificazioni procedurali, incentivi urbanistici, eventuali integrazioni del decreto sviluppo per ottenere incentivi fiscali alla ristrutturazione)  per indirizzare alla scelta di aree e immobili, possibilmente già indicati nei piani,  che minimizzino possibili negativi effetti socio-economici nel medio-lungo termine, che siano a minor pericolosità relativa,  con minori fattori di possibile danno indotto dal contesto , con sufficiente accessibilità e infrastrutturazione e per favorire altresì l’adozione di soluzioni progettuali  definitive(per il consolidamento sismico di capannoni esistenti o per la ricostruzione)  particolarmente efficaci, a parità di costo, comportanti anche un più intenso uso del patrimonio immobiliare e delle aree,   per ottenere un minor consumo di suolo, un risparmio energetico e una riduzione dei costi di infrastrutturazione.

La città pubblica

Altrettanta attenzione dovrà essere posta in caso di delocalizzazione di servizi pubblici che corrispondano ad usi di III e IV classe ai sensi della NTC, per i quali, oltre ad assicurare la resistenza sismica tenuto conto delle caratteristiche dei suoli, ai sensi della medesima NTC, per un’effettiva riduzione di rischio occorre assicurare anche accessibilità in emergenza, esodo, assenza di danno indotto, costanza di rifornimenti idrici ed energetici.

Il ruolo degli enti locali

Le azioni prospettate appaiono possibili solo grazie all’impegno immediato delle amministrazioni locali non solo per piani di emergenza, come chiede il DL74/2012, ma anche per attività ricognitive sulle valenze di prevenzione della propria pianificazione. Le amministrazioni vanno però adeguatamente supportate, nella fase della prima ricostruzione, attraverso un’adeguata informazione e formazione sul rischio sismico alla scala urbana, attività formativa alla quale INU potrebbe significativamente contribuire.

Amministrazioni ben preparate potranno coinvolgere le comunità locali, con opportune forme di partecipazione, nell’individuare le risorse da destinare alla prevenzione sismica, i modi di tale prevenzione, le necessarie politiche selettive per rendere sostenibile la prevenzione, le semplificazioni procedurali possibili senza cedimenti sui requisiti sostanziali.

L’INU  promuove a questo riguardo un Convegno su, La Prevenzione del rischio sismico, a Ferrara il 21 settembre prossimo, all’interno di Sismo 2012, Salone su Rischio Sismico, Pianificazione e Mitigazione e successivamente con un Convegno ad Urbanpromo 2012, dal 7 al 10  novembre a Bologna.

Il documento

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