VII Giornata di studi dell’INU

14/12/2012
La città sobria

Dopo la grande ubriacatura del successo mediatico immediato, dello sviluppo senza limiti a basso prezzo, della ricchezza a portata di mano, dell’edonismo dominante, dell’illimitatezza all’espansione degli interessi individuali, della coltivazione patologica dei desideri, arriva la doccia fredda del richiamo alla realtà con il crollo delle illusioni coltivate dai profeti del virtuale.
La cultura consumistica e le strategie di successo individualistico hanno alimentato l’esplosione urbana con il consumo irreversibile di risorse essenziali come suolo e carburanti fossili. Nelle città si riesce a mantenere lo spazio collettivo a patto che diventi luogo del divertimento o di un contesto consumistico. All’abbandono delle politiche pubbliche e dei programmi sociali fa da specchio l’appropriazione finanziaria del centro geografico e simbolico con i segni eclatanti delle esagerazioni delle archistar. Si sono accentuate le diseguaglianze sociali e territoriali. La concentrazione nelle aree privilegiate del mercato del lavoro ha accentuato i conflitti fino alla perdita del senso della comunità e della convivenza civile facendo degenerare il vandalismo in rivolta e rendendo evidente la ribellione giovanile all’accentramento del potere. La città, seguendo quelle linee di trasformazione, si trova ad essere contemporaneamente insostenibile sia per l’ambiente che per la finanza.
La rituale consolazione dei momenti di difficoltà è la speranza che “la crisi sia considerata anche un’opportunità”. Con meno ottimismo, con la responsabilità doverosa della conoscenza e del ruolo, non ci si può esimere dal mettersi alla prova con problemi dall’evidenza sempre più netta.
La capacità di iniziativa pubblica finanziaria e tecnica dell’ente locale a cui è stata ridotta da una politica paleo-liberistica, che si articola anche negli ultimi provvedimenti di federalismo fiscale, ha vanificato il soggetto della promozione dei beni pubblici urbani in un momento in cui la crisi ambientale richiederebbe una radicale trasformazione infrastrutturale. Il parziale rimedio d’incrementi impositivi, come l’Imu, rischiano di esaurirsi rapidamente nella funzione di tappare tutti gli annosi buchi di bilancio, abdicando alla naturale funzione di finanziare opere pubbliche e servizi al cittadino.
La crisi attuale rimette in discussione, sebbene attraverso un ottica economica – rivolta alla riduzione dei costi della Pubblica Amministrazione – i livelli di governo (abolizione delle Province) e la necessità di ripensare, parallelamente ai livelli di pianificazione, facendo tornare d’attualità un antico dibattito sulle delimitazioni ottimali per ciascun tipo di piano, oltre che sul numero dei livelli: le due questioni centrali del sistema di pianificazione.
Il consumismo effimero ha distolto le spese delle famiglie dall’accumulazione di capitale insediativo a crescente qualità ambientale quale si richiederebbe per sostenere una popolazione che
aumenta di numero e qualità della vita. L’apporto del mercato finanziario difetta nello stesso tempo di regole certe e di sufficiente penetrazione, portando a distorsioni ed aggravamento della crisi, da un lato, e insufficiente supporto ai potenziali investimenti dall’altro. Il mercato ha sistematicamente esternalizzato i costi ambientali finendo per scaricarli, con il consumo delle risorse non rinnovabili, sulle future generazioni. Così registriamo clamoroso fallimenti del mercato quando, attraverso la formula della collaborazione pubblico-privato, si intende superare la tradizionale e collaudata responsabilità degli enti locali. Senza negare tutto il contributo positivo venuto dall’attuazione dei programmi perequati, essi non possono sostituire l’appostamento di rilevanti risorse pubbliche per l’adeguamento infrastrutturale e urbanistico oggi richiesto.
L’urbanistica ha bisogno di riflettere sul proprio patrimonio di principi e conoscenze per criticamente indirizzare la sua azione verso la trasformazione della città consumistica nella città sobria, rivolta al nuovo equilibrio globale (economico ed ambientale). Ciò non solo comporta una selezione delle opzioni molto più radicale e decisa per la scarsità delle risorse disponibili, ma anche una chiarificazione più acuta delle direzioni da intraprendere, il che comporta lo sviluppo delle capacità di analisi e di previsione, della valutazione degli impatti, della costruzione degli scenari. La funzione di supporto alle decisioni non può limitarsi ad un indirizzo culturale, ma deve elevare l’affidabilità delle affermazioni, con lo sviluppo di tecniche e metodi scientifici sempre più perfezionabili. Dopo la città senza petrolio, in cui si iniziava a prendere coscienza della situazione in cui si colloca
l’urbanistica dei nostri giorni, è venuto il momento di pensare alla città della nuova fase post-crisi.

Sessione I
Gli spazi per nuovi modelli di coesione sociale

La crisi economica, sociale e ambientale ha colpito duramente le città e caratterizzerà la loro evoluzione anche nel medio e lungo periodo. Sarà necessario contenere il consumo di suolo e di risorse, inventare nuovi stili di vita urbana, costruire nuovi modelli di consumo e di spostamento. Potranno aumentare i conflitti e le paure, le chiusure spaziali e sociali, la segregazione e la ricerca di soluzioni individuali. Oppure la crisi potrà essere l’occasione per nuove forme di socialità, di conversazione e cooperazione sociale, di resistenza collettiva, di dattamento e di resilience, di reinvenzione degli spazi pubblici, di tutela ed espansione dei beni comuni, come orizzonti progettuali per una città solidale, creativa e sostenibile.
(discussant Giancarlo Paba – coordinatore Imma Apreda)

Sessione II
Infrastrutture per l’uso sostenibile delle risorse

L’aggiornamento tecnologico delle infrastrutture urbane è una delle chiavi per il risparmio delle risorse naturali. In aggiunta ai benefici economici, ambientali e funzionali, possono essere indirizzate al miglioramento della qualità di vita nelle aree urbane. Vengono coinvolte in queste potenziali trasformazioni le morfologie dei nuovi insediamenti come la trasformazione dei paesaggi urbani delle aree di urbanizzazione consolidata. Il rinnovamento impiantistico riverbera i suoi effetti nell’immagine della città e
pone problemi di riorganizzazione delle su parti. Alla scala vasta, vanno ripensate le relazioni sistemiche, le cooperazioni tra gli enti locali e di settore, bacini ed aree d’influenza.
(discussant Arturo Lanzani – coordinatore Emanuela Coppola)

Sessione III
Mobilità dolce

Il tema della mobilità dolce si presenta ad un tempo come innovativo e fecondo per molteplici aspetti. Innanzitutto perché la pedonalità costituisce la modalità per eccellenza di mobilità urbana. Il potersi muovere a piedi, infatti, è sempre necessario anche per poter fruire di sistemi motorizzati ed è frequentemente sufficiente per effettuare compiutamente non pochi tragitti. Obiettivo primario della pianificazione e della gestione della città deve pertanto essere quello di rendere possibile e di favorire la pedonalità tramite l’attrezzatura
di percorsi ed ambienti idonei (sia quando essa sia finalizzata ad una destinazione, sia anche quando sia edonistica) congegnati ed attrezzati anche in sinergia con ulteriori modalità di mobilità, ed in particolare con ulteriore mobilità dolce (ciclistica, ecc.) e collettiva, ma anche con non la mai del tutto eliminabile mobilità motorizzata.
Il perseguimento di tale obiettivo è fattore, fra l’altro, di non banali esiti di ordine ambientale e paesaggistico, di particolare rilevanza nei centri storici ma non solo.
L’argomento trova la sua corretta e completa collocazione nel tema più generale della riconfigurazione del sistema delle aree pubbliche urbane scoperte, da vedersi e gestirsi come occasione di rifondazione delle discipline della città.
(discussant Roberto Busi – coordinatore Romano Fistola)

Sessione IV
I luoghi delle produttività nell’epoca della crisi

Come sappiamo, praticamente tutta l’urbanistica di tradizione, e non solo quella italiana, si è strutturata per lungo tempo sulla separazione delle funzioni e, dagli anni Cinquanta, per l’Italia in particolare, sulla divisione tra zone di abitazioni, zone a servizi e verde (poi misurate sui mitici standards della legge ponte) e zone industriali. Una separazione anche piuttosto rigida, che di fatto non teneva affatto conto della tipologia delle fabbriche e delle manifatture, in realtà non tutte fumose, puzzolenti, rumorose, e quindi dannose per l’ambiente, e in particolare per le zone di abitazione. Un certo sconvolgimento di questo rapporto si è avuto però già negli anni Settanta, quando una prima crisi dell’industria, e quindi dell’economia in genere, spinse molti paesi europei – non tanto l’Italia, forse anche perché meno industrializzata di altri paesi – a demolire e/o trasferire gli impianti industriali, dando spazio a una importante stagione di rigenerazione urbana. Nello stesso periodo, tuttavia, e quasi a compensazione, si sviluppò, a partire dalla Francia, la cosiddetta archeologia industriale, che tendeva invece a recuperare, restaurare, ripulire e, ove possibile, riutilizzare lo spazio e perfino alcuni edifici e impianti caratteristici delle vecchie industrie dismesse, magari da destinare a teatri, auditori, musei, o addirittura parchi, il cui modello è il mitico, quanto sterminato Emscher Park nella Ruhr. Nel frattempo però anche l’industria si va nuovamente modificando, la grande fabbrica del Novecento quasi non esiste più – se non nei settori primari (es. il metallurgico) – e, quando pure esiste, ha spesso solo la funzione di assemblare materiali e oggetti prodotti altrove, ovvero in fabrichette, più o meno piccole, che in alcune regioni (es. nel nord est) convivono con le abitazioni costituendo un esteso tessuto insediativo.
(discussant Paolo Avarello – coordinatore Isidoro Fasolino)

Sessione V
Valori simbolici e pratiche progettuali della messa in natura della città

La cultura urbana contemporanea e l’approccio ecologico-ambientale inducono oggi nuove politiche urbanistiche per la natura in città:
– come componente primaria che tiene l’insieme composito dei territori urbani e ne garantisce alla macro e alla micro scala la sostenibilità ambientale;
– come simbolo e forma stessa della natura inserita tra i valori della società attuale, in quanto espressione del buono e del bello contemporaneo, che propone una nuova estetica della naturalità che indirizza a trattare in senso naturale la progettazione degli spazi urbani e la costruzione dei nuovi paesaggi della città. Così, nel quadro delle tante crisi della città contemporanea il verde, dai grandi sistemi naturali fino alle aree agricole di prossimità (agricoltura urbana e orti urbani) e al verde urbano formalizzato, esprime sempre più una condizione base e un elemento strategico della sostenibilità urbana, variamente declinato sia come elemento strutturale della città (corridoi, cinture, colate, cunei, raggi e trame) che come fattore di riduzione delle criticità ambientali (inquinamento dell’aria, rumore, innalzamento termico, inquinamento e impermeabilità dei suoli, ecc.). Inoltre la costruzione delle reti ecologiche si affianca e si soprappone spesso, integrandosi ad essa, alla rete degli spazi pubblici, dove il verde formalizza i nuovi luoghi collettivi e contribuisce più di altri materiali urbani a riconfigurare la città, perché, adottando direttive legate al contesto, attua la messa in natura come fase inseparabile della messa in paesaggio del territorio urbano. È in questa ottica che
nascono, infine, utilizzando il verde interrelato al costruito, nuove trame insediative e il parco stesso, nelle migliori esperienze europee, tende a configurare un tessuto di città, differente nel materiale ma omologo nelle partiture, in grado ricomporre aree aperte, labili o residuali del sistema insediativo. Dunque la centralità delle nuove politiche verdi nella
città contemporanea, espressione del concetto della messa in natura della città – ovvero del verdissement de la ville come dicono i francesi – va riorientando l’approccio alle relazioni strutturali e al ruolo funzionale e formale del verde urbano. Così il verde si pone come:
– elemento strategico della sostenibilità urbana ed espressione centrale della territorializzazione del principio della ricomposizione degli equilibri ambientali;
– materiale primario del riassetto e del compattamento urbano e del riordino paesaggistico della città diffusa e scompaginata;
– espressione di un nuovo principio estetico, quello della naturalità, che domina la progettazione degli spazi pubblici contemporanei;
– fattore portante per costruire un nuovo e differente tracciato urbano, quello degli spazi aperti, nelle politiche di riordino e compattamento della città;
– fattore di rinaturalizzazione nel recupero e nella riqualificazione delle aree dismesse;
– espressione green di ogni approccio innovativo ai materiali urbani: case, architetture, spazi pubblici, infrastrutture e mobilità urbana.
(discussant Emanuela Belfiore – coordinatore Maria Cerreta)

Sessione VI
La città futura. Nuove direzioni per l’architettura e lo spazio urbano. Ridare senso a un progetto senza sprechi, a risorse ridotte

Appare oggi indispensabile e improrogabile a dispetto
della crisi, in assenza di risorse consistenti e nell’incertezza del presente, progettare i nuovi scenari della città futura, pensando ad un tempo lungo capace di purificare gli errori del passato e di delineare le nuove linee guida della città sobria: senza specchi, sostenibile, capace di creare opportunità e soluzioni che oggi appaiono nascoste.
La città sobria non può che essere una città creativa, in grado di superare l’attuale esasperata eccentricità dell’architettura e la sedimentazione burocratica e autoreferenziale dell’urbanistica.
(discussant Alberto Cecchetto – coordinatore Antonio Acierno)

La brochure

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