Note al Regolamento del PE e del CE – 2011/0276

16/01/2012

Premessa

I commenti e le proposte, anche emendative, che seguono sono costruiti sulla base di alcuni assunti di fondo:

1 Siamo nell’occhio del ciclone di una crisi economica internazionale che sta modificando in modo rilevante gli approcci allo sviluppo dei principali sistemi economici e politici
mondiali; ma viviamo altresì un momento di forte ed acuta crisi del modello europeo se non dell’intera costruzione europea;

2 Il forte ritardo, che si è avuto in Italia, nella realizzazione dei programmi finanziati dai fondi strutturali europei e che ha determinato una spesa ancora esigua e inferiore rispetto agli altri paesi europei che pure subiscono la crisi finanziaria internazionale, non costituisce un modovalido e virtuoso di presentarsi sullo scenario europeo ed internazionale.

3 Ci vuole un grande sforzo nazionale, oltre che europeo, per migliorare quantitativamente e qualitativamente la spesa nel campo dei fondi strutturali; questo sforzo deve vedere le
Regioni non in retroguardia ma, semmai, in posizione propositiva e proattiva anche verso il
resto delle istituzioni pubbliche di governo. La realtà della competizione territoriale
attribuisce alle Regioni il ruolo di protagoniste.
Tematica urbano-regionale
Il concetto di sviluppo sostenibile – sociale, economico, ambientale -, declinato a livello urbano e territoriale (coesione territoriale), rappresenta la cornice di riferimento dei principi europei di welfare; va dunque interpretato articolando il grado di evoluzione dei sistemi locali (urbani e regionali) in rapporto ad uno standard di riferimento, di cui è importante sottolineare l’idea di equilibrio che sottende il principio di sostenibilità tra le componenti dello sviluppo locale piuttosto che il riferimento a valori economici assoluti.

Tendenze in atto
A partire dal trattato di Maastricht (1991), e successivamente con la globalizzazione e
l’allargamento a Est (anni 2000), i sistemi territoriali europei tradizionalmente più aperti alla concorrenza, e quelli tecnologicamente più evoluti (Germania, Benelux, Paesi scandinavi, e qualche regione dell’Est,etc.), hanno reagito assumendo il cambiamento come una opportunità, altri hanno invece mostrato chiari segni di stagnazione e di declino.
Ad oggi la geografia dello sviluppo si può sommariamente riassumere con un’area Centro europea che evidenzia un massimo di sviluppo, e le periferie comunitarie che presentano i minimi, soprattutto a Est e a Sud.
L’Italia non fa eccezione a questa interpretazione spaziale necessariamente schematica, in cui tradizionali ritardi di sviluppo, fattori di accessibilità e minor propensione imprenditoriale evidenziano da lungo tempo una serie di quadri locali statici e declinanti.

Place Based
Sul concetto di place based è opportuno introdurre alcune precisazioni.
La definizione di origine inglese “basato sui luoghi” non deve indurre nella tentazione di frammentare gli interventi all’opposto delle intenzioni della norma. La definizione va interpretata come “territorializzazione dell’economia”, spazio definito dal progetto in funzione del risultato economico, non parcellizzazione ma integrazione funzionale dell’intervento ad una scala territorialmente significativa, ma non per questo coincidente con circoscrizioni amministrative esistenti, che pure possono/debbono partecipare contribuendo con idee e risorse. La sua applicazione è strettamente legata alle “Strategie di sviluppo locale” ex Art. 29 del Regolamento, dove “locale” non va inteso in senso minimalista e parcellizzato ma come strutturazione di ampie relazioni di rete “localmente” radicate.

Come definire i “luoghi” in Italia
Un aspetto certamente poco indagato dello sviluppo è la reale estensione spaziale delle economie urbane, e l’intreccio tra politiche urbane e politiche regionali nel definire i ruoli assegnati alle città, stante il fatto che lo storico ruolo traente delle città è stato affiancato negli ultimi quarant’anni dalla crescita di economie industriali extra urbane, culminata con la formazione dei distretti, di cui oggi si evidenzia il difficile impatto con una globalizzazione concorrenziale rispetto a molte delle tradizionali produzioni di successo dei distretti del Made in Italy.
Sviluppo, stagnazione e declino urbano sono oggi fenomenologie ben presenti nel territorio italiano con una distribuzione non automaticamente ascrivibile al parametro nord-centro-sud, ma neppure totalmente estranea a questa ripartizione.

Come definire le strategie di sviluppo
L’asse su cui impostare una riflessione sullo sviluppo, territorialmente articolata su basi regionali e sub regionali, è il rapporto tra il valore di esportazione e quello di importazione dei beni e servizi che i sistemi locali scambiano col mercato esterno. In altre parole, l’oggetto della strategia di sviluppo deve misurarsi con la capacità di posizionarsi sui mercati sovra locali, per aumentare il valore aggiunto localmente prodotto, e, con esso, le opportunità di investimenti, redditi e occupazione che ne derivano a livello locale. In altre parole, guardando ai sistemi locali – regionali/ sub regionali/urbani – l’obiettivo deve essere aumentare il peso delle produzioni locali nel campo dei beni e servizi e diminuire la dipendenza esterna dei medesimi, non nell’ottica della autarchia territoriale ma in quella del bilancio localmente positivo nel valore degli scambi che avvengono (esporto di più di quello che importo e allargo l’area delle mie relazioni economiche).
Il territorio europeo tra competizione e coesione
Di per sé il mercato non persegue obiettivi di equilibrio territoriale ma semmai accentua i divari sulla base della concentrazione delle risorse produttive là dove registra le condizioni più convenienti al profitto: mercato del lavoro, dotazione infrastrutturale e servizi specializzati: questo tende a privilegiare gli investimenti nei luoghi dove si riscontra la maggior rimuneratività del capitale investito e ad allontanare le produzioni a minor valore aggiunto.
Il fatto che con la smaterializzazione dell’economia le produzioni di maggior valore si concentrino nelle città pone queste ultime al centro dello sviluppo.
Non si tratta perciò solo di contenere i chiari divari tra centro e periferia comunitaria, ma anche quelli tra macro regioni dense e sistemi policentrici minori diffusamente presenti in Europa, anche nelle aree centrali.
La prospettiva di zone dense e congestionate, e di zone marginali declinanti, pone il più generale tema delle diseconomie territoriali di scala europea, per eccesso o per difetto di fattori di sviluppo, che costituiscono in ogni caso costi aggiuntivi e fattori squilibranti nella gestione delle risorse territoriali dell’Unione.

Cooperazione territoriale
Si tratta della forma specifica di sviluppo delle relazioni tra territori anche distanti che istituiscono rapporti di collaborazione settoriale in uno o più campi allo scopo di porre a confronto problemi e soluzioni relative a medesimi oggetti al fine di allargare il circuito delle esperienze e costituire basi informative più ampie e diversificate, quando non complementari.
Dall’esperienza di programmi come Interreg si possono trarre utili indicazioni di come l’intreccio tra competenze settoriali e organizzazioni territoriali contribuisca ad affinare processi di convergenza tematica tra territori.
Questo tipo di cooperazione, che non ha finora mosso grandi risorse economiche, nella prossima programmazione andrebbe maggiormente posto in relazione con le strategie di sviluppo locale per favorire la identificazione e diffusione di buone pratiche di sviluppo locale.
Suggerimenti e proposte di miglioramento del testo di Regolamento
Punto 5.2. pag.11 – Copertura geografica del sostegno
Associare qualche progetto italiano in aree < 90% PIL al Fondo Coesione nell’ambito delle reti TEN-T in attuazione del programma “Connecting Europe facility”.
Art. 14. Contratto di partenariato
a) sub v) Focalizzare la Strategia Adriatica nell’ambito delle strategie macroregionali dato che l’Italia pur avendo un vasto fronte marittimo con paesi extra comunitari non dispone di
specifiche strategie al pari di quella Baltica e Danubiana
b) sub ii) è il passaggio chiave per l’affermarsi della progettazione territoriale integrata.

Art. 23. Preparazione dei programmi
Fissare un raccordo di indirizzo tra la formazione dei QSC e la susseguente (di 6 mesi)
formulazione della Cooperazione territoriale europea al fine di instaurare una prassi ex ante di scambio di contenuti e di indirizzi tra i programmi nazionali (QSC) e le successive esperienze di“cooperazione territoriale europea” che verranno avviate per tentare di interfacciare programmi di investimento con programmi di scambio di buone esperienze (cooperazione).

Art. 17 Condizionalità ex-ante;
Artt.28 e 29 Sviluppo locale di tipo partecipativo,
I Fondi del QSC devono rispondere a “una pluralità di esigenze di sviluppo a livello subregionale e locale. Per facilitare la realizzazione di interventi multidimensionali e trasversali, la Commissione propone di rafforzare le iniziative di tipo partecipativo e di agevolare l’attuazione di strategie integrate di sviluppo locale e la formazione di gruppi di azione locale”. In questa frase è condensato il senso dello sviluppo “place based”. Il principio è buono e condivisibile purché non si trasformi in un pretesto per legittimare di nuovo logiche di dispersione a pioggia di risorse e di autoreferenzialità dei luoghi. Lo stesso Barca, che è l’ispiratore dei principi che sono alla base del Regolamento, sottolinea che sono spesso “le elites locali causa delle trappole del sottosviluppo in quanto incapaci, contrarie o insufficienti per realizzare le condizioni dello sviluppo. Le elites locali devono, pertanto, interagire con quelle esterne secondo il principio per cui ”La politica di sviluppo di un dato luogo deve promuovere istituzioni ed investimenti integrati e  relazioni a rete con altri luoghi attraverso l’interazione fra attori e processi esogeni ed endogeni che destabilizzi l’equilibrio economico e sociale del luogo” (Barca, ibidem). L’accento di Barca è, quindi, posto sì sui luoghi ma purché questi facciano rete, creino interazione con le forze esterne e
puntino alla destabilizzazione degli equilibri locali che bloccano lo sviluppo. Per poter assicurare queste condizioni e queste qualità dei progetti e della loro implementazione, lo
stesso Barca come pure il Regolamento, rafforzano il principio della condizionalità ex-ante
(Art.17), già introdotto in questo ciclo di programmazione per la Priorità 5.1.1 “Valorizzare la rete ecologica e tutelare la biodiversità”. In tale contesto si richiede infatti che “Condizioni per l’attuazione efficace e coerente della politica regionale unitaria sono il completamento della pianificazione di settore (piani di gestione), da conseguire in un approccio partecipativo e applicando i criteri per la gestione dei siti Natura 2000 (DM 3 settembre 2002), in coordinamento con i piani di sviluppo rurale e con le politiche di valorizzazione del patrimonio culturale.
E’ necessario, pertanto, fare un forte riferimento al principio della condizionalità ex-ante anche per quanto riguarda la definizione dei luoghi ammissibili ed in particolare per quanto riguarda i quadri strategici e normativi e le capacità amministrativa e degli attori locali.

Proposte:
Le condizionalità ex-ante devono pertanto soffermarsi in particolare sulla verifica dei seguenti parametri:
– adeguatezza strutturale dei sistemi urbani e territoriali individuati come ammissibili (il
criterio è che sono ammissibili solo le aree che da un lato vedono compresenti strutture
ambientali, insediative e produttive e le principali infrastrutture dei trasporti, energetiche ed ambientali e dall’altro aree, non necessariamente strutturate, ma che hanno in corso un
processo di rafforzamento che coinvolge i diversi livelli di governo del territorio (comuni,
altri enti, province, regioni, Amministrazioni centrali), e in cui la pianificazione di settore è
armonizzata con gli altri strumenti ordinari di gestione del territorio (piani paesaggistici,
piani territoriali di coordinamento, piani regolatori generali, regolamenti edilizi);
– il progetto deve promuovere esplicitamente interazione tra luoghi, settori e processi diversi, sia interni, sia esterni alle aree interessate;
– le iniziative di tipo partecipativo e di coesione locale devono puntare non alla conferma
degli equilibri in atto e degli assetti ma alla loro destabilizzazione e ridefinizione;
– gli obiettivi della strategia di sviluppo devono misurarsi con la capacità, dell’area, di
posizionarsi sui mercati sovra locali ed europei, per aumentare il valore aggiunto localmente prodotto, e, con esso, le opportunità di investimenti, redditi e occupazione che ne derivano a livello locale;
– deve essere riconosciuto come centrale il sostegno alla capacità cognitiva propria dei
sistemi locali. L’obiettivo strategico è la crescita di valore e la diversificazione delle
prestazioni fornite dai sistemi locali. Questo implica un generalizzato incremento delle
attività di formazione avanzata e di specializzazione produttiva di beni e servizi.
– La definizione del territorio coinvolto (Art. 29, sub a) è uno dei punti più delicati perché si
tratta di identificare l’area di estensione di una strategia economica anche multisettoriale
(convergenza multifondo), certamente sub regionale ma potenzialmente urbana, suburbana, extraurbana, o anche le tre cose insieme, specie quando si debba associare tra loro vicende di città e distretti . Il principio di flessibilità è certamente necessario, ma va evitato il rischio di perimetrazioni onnicomprensive, specie a fronte di zone in declino. Meglio piuttosto la coesistenza di strategie locali diverse più circoscritte ma più mirate, così da favorire le ricadute sul successivo Regolamento FESR.

Art. 30 Gruppi di Azione Locale
Nel nuovo ciclo di programmazione occorre riportare istituzioni imprese e terzo settore a un più fitto e serrato dialogo, all’interno dei GAL, nei quali condividere, con il supporto di opportune competenze tecniche, i lineamenti di una politica di sviluppo place based. È chiaro il riferimento alle positive esperienze storiche dei GAL della rete Leader+ per lo sviluppo rurale, che però si muovevano in ambiti a scarso potenziale trasformativo. Le cose si pongono in modo diverso nei processi di sviluppo che avvengono in ambiti metropolizzati. Non appare semplice che un GAL possa gestire programmi che contengano iniziative infrastrutturali “pesanti”. Tanto più che l’art. 30 c.3. indica una composizione con una maggioranza di soggetti non pubblici e con voto capitario. Un tale funzionamento tenderebbe in vari casi a portare i maggiori stakeholders a posizionarsi al di fuori del GAL, similmente a quanto avvenuto nella maggior parte delle esperienze di Agenda 21 locale; mentre invece l’obbiettivo è di costruire un processo coesivo con la partecipazione di soggetti dei vari livelli.
Si tratta qui della vera sfida del prossimo ciclo di programmazione: come tenere insieme la
dimensione locale dello sviluppo e i grandi interventi sistemici, a cui sembrano riferirsi i “grandi progetti” di cui all’art. 90 e ssg.; per questo aspetto può risultare utile l’esperienza maturata nei programmi Interreg.
Al tema della integrazione locale sembra del resto guardare la raccomandazione iniziale n. 65 di pag. 24, che recita:

(65) Qualora una strategia di sviluppo urbano o territoriale richieda un approccio integrato in quanto comporta investimenti nell’ambito di più assi prioritari di uno o più programmi operativi, l’azione sostenuta dai Fondi dovrebbe essere effettuata sotto forma di investimento territoriale integrato nell’ambito di un programma operativo.

Proposta
All’art. 30 affidare all’azione dei GAL anche un ruolo di ricomposizione intersettoriale e fra
programmi entro programmi integrati di territorio, in coerenza con il principio guida che sia il territorio il fondamentale sistema di integrazione; cioè ciò che porta a parlare di coesione territoriale.
I PSL/PIT messi a punto dai GAL recependo le priorità del QSC possono divenire gli strumenti di programmazione di riferimento per l’integrazione territoriale, anche per le azioni dei PON e dei GP place based. Ciò attraverso la partecipazione all’attuazione delle competenze dell’Agenzia di Sviluppo Locale (la struttura comune legalmente costituita di cui all’art. 30 c. 2). Per il tema dell’armonizzazione fra le scale delle politiche di sviluppo si veda anche più avanti il paragrafo relativo all’art. 99 sugli Investimenti Territoriali Integrati

Art. 60 Ammissibilità interventi secondo la ubicazione
Potrebbero essere meglio esplicitate le modalità di raccordo con la cooperazione territoriale per rendere più esplicita e utile la complementarietà dei programmi, senza con ciò limitarne la flessibilità in sede di successiva definizione.

Art. 90 Grandi progetti
In questo campo il ruolo intermedio delle Regioni, tra livello comunitario-nazionale e livello locale può essere decisivo e qualificante. Una chiusura autoreferenziale o, peggio ancora, una assenza propositiva delle Regioni può essere, viceversa nefasta.
Trattandosi di interventi di rilievo destinati a incidere sulla grande infrastrutturazione europea, e a influire sulla capacità di “competizione territoriale” di città e regioni coinvolte, è essenziale associare a questi grandi interventi le strategie di sviluppo locale.
I Grandi Progetti (GP) sono scelti dalle Regioni nell’ambito dei loro Programmi Operativi (POR). Ma non ha più senso che i GP siano interclusi all’interno dei confini regionali: pensiamo ai gateways portuali ed interportuali, alle piattaforme logistiche, alle reti regionali del trasporto metropolitano su ferro, alle reti di smart cities, alle reti ambientali, ai grandi mosaici paesisticoculturali, ai corridoi infrastrutturali ed energetici ecc.. In Italia, le Regioni, nella fase di programmazione in corso, non hanno dimostrato sufficiente capacità di cooperazione (basti vedere l’esito delle Piattaforme Territoriali Strategiche del QSN 2007-2013) mentre le loro pianificazioni territoriali sono ancora rivolte tutte e solo all’interno dei loro territori e non mirate alla costruzione di quadri di cooperazione multiregionale. Spesso non ricercano neppure forme di semplice coordinamento od interazione con le altre regioni dello stesso Paese, tantomeno con le Regioni di altri Paesi confinanti. L’esito più disastroso è, da questo punto di vista, lo “spezzatino” del Corridoio V, dalla Francia fino alla Slovenia, come pure l’incapacità di decidere sulle scelte interportuali nel Nord Tirreno e nel Nord Adriatico. Se si vuole cominciare ad invertire la tendenza, si dovrebbe, pertanto, introdurre, nel Regolamento, a proposito dei GP, tra le condizionalità ex-ante, anche l’esistenza di -o un esplicito orientamento a costruire ex novo-, forme di cooperazione territoriale vasta, tra sistemi territoriali sub-regionali ma anche tra regioni e tra sistemi regionali. In Italia, nell’ambito della programmazione 2007-2013, era prevista la realizzazione di 62 Grandi Progetti di investimento, 56 dei quali in aree Convergenza. In nove Programmi Operativi sono stati previsti Grandi Progetti: il PON Energia, il PON Reti e mobilità, i POR Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sardegna, Sicilia e Toscana. Ma 62 GP sono tanti e diventano persino troppi se scollegati tra di loro.
E’ necessario che le decine di GP possibili siano tutti ricollegati a monte a pochi e molto significativi Progetti-Paese. In Italia, per esempio, potrebbero essere individuati meno di dieci grandi Progetti-Paese, a loro volta articolati in gruppi di GP coerenti.
E’ pertanto di assoluta necessità istituire una categoria a monte, che qui abbiamo chiamato dei Progetti_Paese, capace di mettere a sistema i diversi GP al fine di:
– identificare le interconnessioni tra settori ed aree, tra centri urbani e territori; tra corridoi e sistemi locali; tra centri di terra e centri di mare; tra filiere economiche locali ed extralocali ecc.;
– identificare le cooperazioni territoriali e geografiche che possono configurare anche le nuove istituzioni territoriali di cui parla Fabrizio Barca;
– dare corpo e struttura ad una governance flessibile multilivello tra scala sub-regionale, regionale e nazionale.

Proposta: in tema di Grandi Progetti è necessario introdurre nel Regolamento:
– una condizionalità ex-ante legata all’esistenza di (o ad un esplicito orientamento a costruire ex-novo) forme di cooperazione territoriale vasta, tra sistemi territoriali sub-regionali ma anche tra regioni e tra sistemi regionali;
– la categoria dei Progetti-Paese come sistemi di raccordo a monte dei diversi gruppi di
Grandi Progetti.

Art. 93 Piani di azione comune
Nella definizione data, il contenuto specifico dello strumento appare incerto, senza nulla togliere alla sua utilità potenziale, forse sarebbe utile capire meglio il suo rapporto con l’Art. 29, strategie di sviluppo locale.

Art. 99 Investimenti territoriali integrati (ITI)
E’ strano che qui non ci sia alcun riferimento all’Art. 29 dal momento che molte strategie di
sviluppo locale dovrebbero essere ispirate al criterio di Concentrazione multi fondo, che
rappresenta una delle maggiori novità del Regolamento secondo il principio Place based. E’ strano, altresì, che tra i tre livelli di sviluppo individuati (Sviluppo locale, Investimenti Territoriale Integrati, Grandi Progetti) manchi una qualche forma di raccordo. Sappiamo, infatti, che è spesso la mancanza di un raccordo con i programmi di sviluppo locale che fa fallire i grandi progetti, per esempio nel campo delle grandi infrastrutture. Tenere separati questi tre livelli, pertanto, non è solo sbagliato dal punto di vista concettuale ma anche da quello funzionale e dell’efficacia. Gli ITI, pertanto, possono essere considerati come il livello intermedio di raccordo sia verso il basso (con lo Sviluppo locale, art. 28) sia verso l’alto (con i Grandi Progetti dell’art. 99). In tal modo diventano veri e propri investimenti in “coesione territoriale” in quanto portano a coesione i sistemi e le reti macro con i sistemi ed i luoghi micro. Inoltre il coordinamento tra i tre livelli consente di dare struttura e contenuti ad una governance multilivello articolata su veri e propri assi di carattere verticale.

Proposta:
– prescrivere che gli ITI debbano fare esplicito riferimento, a monte, ad uno o più Grandi
Progetti ed a valle ad uno o più progetti di sviluppo locale.
– simmetricamente è necessario che i Grandi Progetti prevedano di raccordarsi a degli ITI e, tramite questi, a dei progetti di sviluppo locale. infine i Progetti di sviluppo locale devono
raccordarsi agli ITI e, tramite questi, a dei più ampi Grandi progetti.

Si ritiene di fare cosa utile allegare per omogeneità di materia anche le osservazioni che seguono ad uno dei Regolamenti collegati

Note al Regolamento FESR 2011/0275

Art. 5 Priorità di investimento
Punto 8, aggiungere: sub c) “misure di sostegno specifiche alla formazione e crescita dei nuovi lavoratori della conoscenza” nell’ambito della diversificazione delle figure professionali determinate dalla evoluzione tecnologica e dal principio di concorrenza applicato alle professioni.

Art .8 Piattaforma per lo sviluppo urbano
Nell’ambito delle 20 città italiane selezionate per entrare nel gruppo delle 300 città europee destinate a cooperare sui temi della politica urbana andranno inclusi casi ben rappresentativi di:
– Costituende aree metropolitane di media dimensione
– Sviluppo di sistemi urbani collegati alla evoluzione dei distretti industriali
– Sviluppo di sistemi regionali policentrici da organizzare in reti di città anche tramite
politiche integrate di trasporti
– Città o sistemi urbani caratterizzati dalla gestione di flussi turistici
– Centri urbani caratterizzati da declino industriale e da problemi di riconversione economica
– Sviluppo di sistemi urbani periferici in rapporto alla valorizzazione delle risorse ambientali
– Sviluppo di sistemi urbani periferici in condizioni di svantaggio naturale e demografico
– Sviluppo di sistemi urbani da connettere alle reti TEN-T mediante nodi secondari e terziari
La individuazione dei 20 casi inclusi, sulla base della loro rappresentatività, deve essere posta in relazione alla possibilità di esportare e diffondere le esperienze e le buone pratiche anche ad altre città o sistemi urbani italiani non inclusi nell’elenco, tramite un commissione nazionale istituita con questo scopo che raccolga, sistematizzi e divulghi i materiali di lavoro istituendo un circuito di diffusione delle esperienze con l’aiuto di specialisti di settore.
Al tempo stesso sarebbe utile favorire una individuazione e circolazione dei casi di “Best practices” settoriali e/o territoriali che possano fungere da riferimento per contesti impegnati nella soluzione di problemi specifici che in altri contesti hanno rappresentato esempi di successo.

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Articolo pubblicato in: Pareri INU alle Istituzioni
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