In ricordo di un civil servant: Gianni Nigro
di Francesco Nigro¹
Quarantacinque anni fa nella Cappella dell’Università La Sapienza nasceva la famiglia di Gianni e Marcella, era l’11 febbraio del 1967 (Gianluigi lo chiamavano solo i parenti o chi non lo conosceva!).
Un anno probabilmente speciale quel 1967: il matrimonio a febbraio, a dicembre la nascita di Lorenzo, il primo figlio; in mezzo la chiamata al centro studi della Direzione Generale per l’urbanistica del Ministero dei LL.PP. da parte di Marcello Vittorini, con Giulio Tamburini, Vezio De Lucia, Edoardo Salzano, Giusa Marcialis; il primo PRG quello di Roseto degli Abruzzi con Camillo Nucci e gli amici degli studi universitari.
Qui ha inizio l’avventura che è stata umana, professionale e civile. Il lungo percorso accademico era già cominciato nel 1964 subito dopo la laurea. Dietro, la sua storia segnata dalla famiglia e, fondamentale, dalla formazione dei Gesuiti al Liceo Massimo di Roma e nello scoutismo del gruppo Roma V° dell’ASCI.
C’è un filo conduttore: l’ultimo PRG adottato è quello di Roseto degli Abruzzi, lo scorso anno a marzo. C’è l’Abruzzo, terra natia amata, ma di radici lontane, poi c’è stata una nuova terra d’adozione e di elezione, l’Umbria. C’è soprattutto l’Adriatico che lega tanto, la città natale di Ortona, le nostre vacanze d’infanzia a Silvi Marina, e il lavoro: i piani urbanistici vanno da Ravenna a Otranto, passando per Falconara, Ancona con Giancarlo Mascino, San Giovanni Teatino, Bisceglie e Bari. Rispetto a questa linea adriatica ci sono importantissime eccezioni, luoghi amati in modi estremamente diversi: Matera quasi venticinque anni di pianificazione; Roma, sede eletta per la famiglia e per l’università, e per la quale, in vari momenti e forme, ha spesso lavorato; l’Umbria nelle sue diverse realtà e dimensioni, punto centrale del suo riposo campagnolo e della sua riflessione e sperimentazione sulla pianificazione a tutti i livelli negli ultimi venti anni.
L’Umbria diventa, in punta di piedi come diceva lui, la nuova terra d’adozione: ventidue anni fa dopo il primo intervento “idraulico” (così ne parlavano con Marcello Vittorini, entrambi affetti da malanni che non sono riusciti a scalfirne l’impegno, la passione, la costanza nella pianificazione), di fatto durante la convalescenza umbra avviene l’acquisto della Pieve, segno di vita riconquistata, snodo importante della vita della famiglia e non solo.
La Pieve significa non solo un luogo di riferimento di relazioni intense, ma da una parte in qualche modo l’avvio della consuetudine professionale con l’Umbria (tra i primi impegni i Lineamenti per il Piano Urbanistico Territoriale della Regione e il PRG di Foligno, proseguiti poi con i piani di Todi, Norcia e Castelluccio, Castiglione del Lago, il preliminare di Bastia Umbra, Città di Castello, e Amelia appena avviato) e per questo eletta a sede per la stesura di norme e leggi; dall’altra le marmellate, i fichi, l’olio e il vino ai quali si dedicava intessendo, soprattutto grazie al tanto girovagare, scambi e confronti con tanti amici e colleghi in tutta Italia; sapori e sentimenti che rafforzavano i legami.
Ho avuto il privilegio, onori ed oneri, di lavorare con mio padre negli ultimi quindici anni; ho trascorso fisicamente tanto tempo insieme a lui che credo superi quello di cui hanno potuto godere i miei fratelli messi insieme. Questo mi ha consentito di osservare, conoscere e capire, mai completamente, papà e di imparare vita e mestiere.
Ci sarebbe da dire tantissimo, ma voglio solo riportare alcuni punti fermi, soprattutto perché sono emersi con forza da tutte le testimonianze, i ricordi, gli attestati di stima dei giorni seguenti la scomparsa, aspetti caratteriali, qualità, idee di cui avevo esperienza, ma che si sono improvvisamente chiariti nella mia testa:
– prima le qualità umane, poi la competenza tecnica, scientifica e professionale: è stato sempre così, ma all’inizio non capivo perché le persone, i colleghi di Gianni con i quali entravo in rapporto prima mi rappresentassero la sua dimensione umana, poi trattassero delle sue capacità nella professione, nella ricerca, nella didattica
– figlie e figli putativi, sorelle e fratelli adottivi: è il rapporto con i giovani che ha sempre coltivato, scientemente, quasi secondo un consapevole programma pedagogico-formativo; che si trattasse di studenti, laureandi, dottorandi, specializzandi, professionisti alle prime armi, amministratori, tecnici della pubblica amministrazione, con tutti praticava l’ascolto, la misura, l’equilibrio; per tutti è sempre stato il Professore
– una militanza pacata (gli anni ’70), mai ideologica, mai etichettato ed etichettabile (chi lo ha fatto dimostrava di non conoscerlo); una militanza politico-culturale (anni ’80, inizi ’90) che lo ha visto in un lungo e ricco, ma complicato, periodo dell’Istituto, prima segretario nazionale e poi presidente. In questo ambito ricordo quando, nel 2008, sul giornale fu indicato come papabile assessore a Roma della Giunta Alemanno: era inorgoglito e un po’ preoccupato; la candidatura durò il soffio di una mattinata
– la convinzione della inscindibilità tra teoria e prassi: un manifesto per la vita, come per la pianificazione; un metodo sul quale ha fondato la sua attività nelle diverse dimensioni che l’animavano: la riflessione nella ricerca forniva contenuti alla pianificazione praticata, dalla sperimentazione sorgevano spunti per la digressione teorica, il tutto alimentava ed era arricchito dal confronto costante offerto dalle occasioni e iniziative promosse in seno all’INU; questi flussi hanno generato il circuito virtuoso che ha consentito a Gianni, almeno nella mia esperienza, di essere sempre proiettato in avanti, di avere una soluzione, tecnicamente valida, per tutto
– un signore, un gentiluomo, un uomo giusto, diceva sempre “è una questione di stile”, che si trattasse di comportamenti umani, professionali e finanche istituzionali (ad esempio ho sempre ammirato il grande rispetto per i Consigli Comunali, la consapevolezza del proprio ruolo tecnico nei suoi interventi)
– in sintesi ho capito che è stato un servitore civile, con una ferma convinzione nelle sue idee, e che forse per questo, non so quanto consapevolmente, è sempre rimasto un artigiano, un “medico condotto” della pianificazione, dandosi oltre ogni ragionevole limite professional-imprenditoriale, e ha avuto, non a causa sua, una carriera accademica come dire ritardata.
Cosa c’è. C’è una rete di relazioni, affetti, legami forti, c’è una disseminazione di idee, di scritti, di piani e di pragmatica cultura urbanistica: credo che dobbiamo mantenere e alimentare tutto questo, perché tutto questo ci lascia.
Ringrazio l’Istituto, anche a nome della famiglia, per questo spazio: mi piace pensarlo a pianificare territori celesti.
Giugno 2012
¹Il giorno dopo il funerale nella Cappella Universitaria della Sapienza, il 17 febbraio 2012, da parte del CDN mi viene chiesto di scrivere il ricordo di mio padre Gianluigi Nigro che ho tratteggiato durante le esequie. Lo faccio qualche tempo dopo, avendo già cominciato a cercare di dare un ordine alla stratificazione delle sue carte, per poter disporre di un archivio almeno organizzato. Tante cose ho scoperto, ma non è possibile raccontarle qui. Perdonate le lacune inevitabili, come lo stile, ma non posso che lasciare, come quel giorno, l’immagine che ha un figlio di suo padre. Affido perciò ad altri tempi e spazi, evidentemente più adeguati, la riflessione su quello che Gianni ha fatto nella sua vita, e ha dato all’urbanistica italiana e all’INU, sperando che ciò possa avvenire anche con l’aiuto dell’Istituto