Perequazione e città pubblica
24/06/2013
La Regione Umbria ha di recente approvato una legge dal titolo “Norme su perequazione, premialità e compensazione in materia di governo del territorio e modifiche di leggi regionali”. Per la parte della legge sulla perequazione l’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) Umbria ha partecipato alla stesura della proposta nell’ambito di un gruppo di lavoro a cui hanno partecipato una rappresentanza dei comuni umbri, gli ordini professionali e l’Università. Nel complesso ritengo che sia una buona legge utile per i comuni, che in tal modo, se vorranno, avranno un riferimento normativo che consentirà loro di dotarsi di incentivi per il recupero della città esistente e di una adeguata riserva di aree pubbliche necessarie per approntare programmi di edilizia sociale, per progettare parchi e scuole. Cerco di spiegare semplicemente come, anche ai non addetti ai lavori. Il Piano regolatore tradizionale, di cui alcuni hanno una ingiustificata nostalgia, si basa sulla suddivisione del territorio in zone omogenee (zone residenziali di completamento e di nuove espansione, zone produttive, zone per servizi pubblici, ecc..) e sul ricorso all’esproprio per il reperimento delle aree per servizi pubblici. Una pratica discriminatoria (sperequata) in cui vi sono proprietari di terreni con grandi benefici ed altri con aree sottoposte ad esproprio, che nelle maggior parte dei casi non saranno mai espropriati. Uno strumento che accontenta pochi e dà pochi effetti in termini di benefici pubblici. Questo modello di Piano regolatore (ammesso, e non concesso, che fosse giusto), è andato fortemente in crisi per due ragioni combinate: la crescente carenza di risorse a disposizione della pubblica amministrazione; varie sentenze della corte costituzionale, che hanno sancito che l’esproprio dei terreni dovesse essere risarcito a prezzo di mercato (fino a qualche anno fa gli espropri venivano pagati a prezzo agricolo). In sostanza i comuni non hanno più risorse, ma devono pagare gli espropri ad elevatissimi prezzi di mercato. Risultato, le aree per servizi pubblici rimangono solo sulla carta, la città pubblica è sempre più povera, pochi fortunati possessori di aree edificabili beneficiano di un scelta pubblica (il consiglio comunale decide in materia urbanistica) senza restituire nulla alla collettività. La perequazione è stata la risposta dell’Urbanistica riformista alle gravi carenze del Piano di tradizione e, se vogliamo, il tentativo di restituire al pubblico parte dei benefici della rendita fondiaria. Con la perequazione i diritti edificatori saranno equamente distribuiti e compensati con la effettiva cessione di aree per servizi pubblici. Faccio qualche esempio. In un piano perequato non vi sarà più una zona residenziale con accanto una piccola area a servizi pubblici. Si disegnerà un unico comparto in cui è assegnato un basso indice edificatorio a tutte le proprietà, con l’obbligo di cessione al comune di una parte dei terreni del comparto stesso, oltre gli standards di legge. La destinazione di un’area a parco pubblico di notevoli dimensioni, potrà essere attuata con la previsione di una bassa edificabilità da concentrare sul 20% dell’ambito, in cambio della cessione al comune dell’80% del terreno. L’incremento di valore di un immobile o di un terreno per effetto di una modifica del Piano sarà sottoposto ad una adeguata contribuzione straordinaria (oggi avviene gratis). Questo non significa indiscriminato consumo di suolo. Vuol dire che le parti dei Piani non ancora attuate, le poche espansioni a completamento dei tessuti esistenti, gli incentivi per il recupero edilizio saranno previsti con metodi perequati, assicurando un maggior ritorno per il pubblico.
Le regole del gioco della compensazione e delle premialità alla base della perequazione sono stabilite alla luce del sole dal Piano e devono essere uguali per tutti.
Regole chiare e trasparenti, trattamento più equo dei cittadini, riserva di aree pubbliche per dotare la città dei servizi necessari, restituzione alla colletività di una parte dei benefici avuti dai privati per una decisione della amministrazione pubblica. Queste sono le finalità della perequazione. Ovviamente la perequazione non è garanzia di un buon piano. Vi possono essere piani pessimi e che devastano un territorio fondati sulla perequazione. Ma la rappresentazione della perequazione come il male dell’urbanistica moderna, l’equazione: perequazione=consumo di suolo, così come viene rappresentata da alcuni urbanisti o anche sui grandi giornali (Settis su Repubblica) è francamente una mistificazione della realtà che va respinta. La perequazione, come ci ha insegnato il compianto prof. Nigro che aveva partecipato con la solita passione e competenza alla stesura della legge, è un principio (tendenziale parità di trattamento dei cittadini), non è una tecnica urbanistica.
Affermare che il principio della perequazione è deprecabile, perché in alcune realtà se ne è fatto un uso molto opinabile (Piano di Milano), è come dire che il principio di uguaglianza è da ripudiare, perché alla base del comunismo realizzato.
La perequazione è un principio sano, ovviamente, essa non assicura la bontà di uno strumento urbanistico, che, come sempre, dipende dalla qualità degli amministratori pubblici, dei tecnici e della società che vive un territorio.
Franco Marini – Presidente INU Umbria
La delibera regionale – L’articolo del “Corriere dell’Umbria” – L’articolo del Presidente sezione regionale di Italia Nostra