La ricostruzione dopo una catastrofe: da spazio in attesa a spazio pubblico pubblico – Call for paper

II BIENNALE DELLO SPAZIO PUBBLICO
Roma 16-19 Maggio 2013
Workshop a cura di:
Valter Fabietti, Ordinario di Urbanistica, Facoltà di Architettura Università di Chieti Pescara – Carmela Giannino, Istituto Nazionale di Urbanistica sezione Lazio – Marichela Sepe, Ricercatrice di Urbanistica, IRAT CNR- DPUU Università di Napoli Federico II

Il nostro territorio è sempre più soggetto a terremoti, frane o alluvioni e disastri naturali che lo rendono fragile e ne colpiscono l’organizzazione sociale, ponendo la comunità di fronte alla necessità di ricostruirne le forme e le caratteristiche attraverso il ripristino puro e semplice dello status quo ante, o modificando le strutture spaziali dell’area colpita. Ci si chiede quindi qual è il percorso che genera questa scelta e quanto sia importante la cooperazione tra sfere pubbliche e istituzionali, tra decisori e diretti interessati.
Lo spazio pubblico in quanto luogo di socializzazione inteso nel senso tradizionale del termine è uno degli elementi che offre qualità al progetto di territorio. E’ un luogo dove le persone possono riconoscersi, orientarsi, radunarsi. E’ uno spazio che può sottrarsi dalla cementificazione per aprirsi ad interpretazioni, usi, identità diverse.
Luoghi vuoti perchè distrutti da eventi catastrofici ri-assumono senso e valore nel momento in cui passano da spazi in attesa a spazi pubblici, restituendo brani di territorio alla città.
Nelle ricostruzioni post-terremoto avvenute in Italia negli ultimi cinquant’anni, ad esempio, una delle caratteristiche che le accomuna è che in diversi casi la pianificazione delle operazioni post-sisma non si è avvalsa della base di esperienze costruita negli eventi precedenti. Ciò può essere dovuto, da una parte, ad una normativa in materia di rischio ancora settoriale, dall’altra alle diverse condizioni di partenza dei singoli territori colpiti, dall’altra ancora alla reale difficoltà di agire in maniera consapevole e in tempi brevi per ricostruire la memoria tangibile e intangibile di luoghi, come quelli del nostro Paese, densi di tradizioni e cultura.
La perdita di luoghi di socializzazione rappresenta invece un’importante componente culturale del rischio ambientale. Interventi post-ricostruzione effettuati tenendo in minima o in nessuna considerazione tali spazi possono provocare nei centri colpiti dai sismi danni ben più gravi dei terremoti stessi.
Nel Belice, l’esperienza del terremoto del 1968 ha portato distruzioni devastanti. Intere città sono state sdoppiate e ricostruite altrove, come nel caso di Gibellina, dove le costruzioni cadute sono state pietrificate con una colata di cemento armato (il “Cretto” di Burri); molte nuove edificazioni non sono state mai utilizzate; alcune esistenti sono tuttora in corso di restauro e altre ancora sono state definitivamente demolite dall’uomo per dare luogo a svincoli autostradali, strade, lotti per nuove costruzioni.
Dopo una prima fase conclusasi alla fine degli Anni Settanta, dove i nuovi centri apparivano ancora incompleti e privi di identità, fu proposta un’operazione di
densificazione. Nel tentativo di superare un’impostazione manualistica della ricostruzione per favorire lo sviluppo di processi di crescita urbana più liberi nei quali l’arte avesse un ruolo centrale, fu pensato di realizzare architetture d’autore tra gli spazi sovrabbondanti che separavano gli edifici per creare una più colta identità urbana. Questo tipo di strategia ha provocato quale risultato un contrasto tra i diversi linguaggi architettonici delle preesistenze e delle nuove architetture. Tali contrasti non sono stati affievoliti dal tempo e hanno acquistato al contrario una sorta di legittimità e storicità ancora estranea all’originaria identità di questi luoghi e dei suoi abitanti, ma probabilmente ancora aperta a una fase di rinnovamento.
Nella ricostruzione dell’Irpinia del 1980, gli interventi post-sisma hanno apportato miglioramenti soprattutto per quello che ha riguardato l’innalzamento della qualità della vita delle popolazioni rurali, che da tempo vivevano in dimore fatiscenti, e la realizzazione della nuova rete stradale. I programmi di ricostruzione basati sul principio della massima sicurezza e prevenzione, nel tentativo di ridurre al minimo la pericolosità delle abitazioni, hanno dilatato in modo eccessivo le distanze tra gli edifici, a volte stravolgendo del tutto costruzioni e tessuti urbani. I “paesi presepe” tipici del territorio sono in questo modo quasi del tutto scomparsi e al loro posto sono stati ricostruiti luoghi caratterizzati da altre tipologie urbane e morfologie paesistiche, nei quali tutt’ora la popolazione trova difficoltà a identificarsi.
La ricostruzione in Friuli del 1976, in parte avvantaggiata dalla valutazione ex-post della negativa esperienza del Belice, costituisce l’unico esempio di lavoro completamente concluso. Il criterio utilizzato del dov’era com’era ha consentito che i centri storici fossero ricostruiti nei siti originari e che fosse posta particolare attenzione al mantenimento dell’identità storica e culturale. In questo caso il territorio si trovava già in un momento positivo dello sviluppo e la ricostruzione post-terremoto ha costituito, in modo solo apparentemente paradossale, non una battuta d’arresto, ma addirittura un incentivo ed un incremento effettivo della crescita economica.
E ancora, nel caso dell’Umbria, i danni più rilevanti si sono riscontrati sul patrimonio storico- architettonico, che costituisce una tra le principali fonti di ricchezza della regione, data la forte attrattività turistica. Le questioni relative alla perdita dell’identità sono state assimilate soprattutto a quelle del recupero delle immagini tradizionali, così come esse sono state fissate e anche commercializzate, in modi più o meno artificiosi, ai fini dell’economia dello sviluppo turistico.
E’ però vero che nelle Marche e nell’Umbria, ma soprattutto nei più recenti eventi in Abruzzo ed Emilia Romagna la fase decisionale, che ha contraddistinto la scrittura delle leggi e dei criteri di ricostruzione, ha cercato di privilegiare la qualità della ricostruzione, anche e soprattutto degli spazi pubblici.
Le norme nazionali e regionali in favore di queste zone terremotate hanno previsto, accanto ai piani di ricostruzione che costituiscono lo strumento di operatività nella città storica, specifici programmi integrati di recupero finalizzati all’ esecuzione di interventi unitari di proprietà mista pubblica e privata, anche non abitativi. Attraverso tali programmi viene data la possibilità di costruire alleanze locali di cooperazione tra pubblico e privato, che possono risolversi non solo nella soluzione del problema abitativo ma anche nella riqualificazione del contesto urbano.
L’Emilia Romagna ha prodotto recentemente un progetto di legge varato dalla Giunta e presentato ai sindaci delle zone terremotate. La norma prevede la semplificazione delle procedure per realizzare velocemente il complesso degli interventi ricostruttivi, in particolare nei centri storici, dove la ricostruzione dovrà essere sia finalizzata il più possibile alla conservazione dei tessuti edilizi preesistenti. Inoltre è previsto il miglioramento delle prestazioni sismiche ed energetiche degli edifici, la definizione di un Piano della ricostruzione che disciplini gli interventi in modo coordinato ed omogeneo e la
riduzione della densità insediativa nelle campagne con l’accorpamento di edifici rurali o la delocalizzazione di fabbricati. Ha messo a punto un sistema informativo all’avanguardia ed è supportata dalla Soprintendenza regionale che ha predisposto linee guida per la ricostruzione degli edifici di valore storico-artistico, per lo più pubblici.
I terremoti, quindi, così come le alluvioni, i cicloni e tutti i disastri naturali cancellano, trasformano, pietrificano intere parti di territorio privandoli di spazi e memorie necessari alla vita dei luoghi.
In tale contesto il call che si intende sottoporre è rivolto a studiosi, curiosi, tecnici, amministratori di diverse aree disciplinari che intendono presentare uno specifico sguardo rispetto ai luoghi interessati da ricostruzioni post-disastro particolarmente attente agli spazi pubblici.
Dal call ci si aspetta a riguardo, non solo l’illustrazione della produzione di spazio pubblico in ricostruzioni emblematiche ma anche in quei territori interessati da nuove legislazioni o studi in materia di disastri ambientali (ad esempio in Emilia, Abruzzo, Liguria, Italia, ma anche nel mondo) che accanto all’obiettivo prioritario della ricostruzione delle residenze, fanno registrare una forte attenzione al tema dello spazio pubblico, anche in funzione della qualità e complementarietà dei servizi di prossimità e dei servizi pubblici su scala urbana.
I contributi pervenuti saranno presentati e discussi in un workshop che si terrà nel corso della II Biennale dello Spazio Pubblico con l’obiettivo sia di tracciare e scambiare buone pratiche in relazione ai temi della ricostruzione, sia principi che andranno a confluire nella Carta dello Spazio Pubblico che sarà presentata nell’ambito della BiSP.
I contributi finali selezionati saranno pubblicati su un dossier di “Urbanistica Informazioni”.
e/o esposti nella mostra che si terrà nella sede della Biennale.
Scadenze:
28 Febbraio 2013 invio dell’abstract del proprio contributo di 2000 caratteri spazi inclusi all’indirizzo e-mail ricostruzione@biennalespaziopubblico.it, specificando nome, ente, e-mail e se si intende presentare paper o progetto.
15 marzo 2013 comunicazione di accettazione da parte dei curatori del workshop e tipologia di elaborato da presentare (poster per la mostra o presentazione orale)
15 Aprile 2013 invio contributi di non oltre 20000 caratteri (spazi inclusi) e una immagine per i paper e non oltre 9000 caratteri (spazi inclusi) e due immagini per i progetti, oppure poster secondo il format che sarà inviato

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