Sul riordino accelerato delle Istituzioni territoriali
15/10/2012
Sul riordino accelerato delle Autonomie territoriali.
Coglierne le potenzialità per il governo del territori
Il processo di riordino ed in parte anche di riforma (che è ben di più) del sistema delle Istituzioni e delle Autonomie territoriali, avviato nel 2012 in Italia (dopo molte parole e alcuni atti legislativi che nel 2011 ne avevano annuciato una futura confusa econtradditoria messa in atto), ha avuto una forte accelerazione con il Governo Monti a partire dal mese di luglio scorso; un processo che subito dopo è stato reso operativo con la Legge relativa alla cosiddetta “spending review” (L. 135 del 7 agosto 2012). E’ in corso, in conseguenza di ciò, un percorso di procedure ed atti molteplici, sequenziali e complessi che con scadenze precise, già da ottobre 2012, si concluderanno entro il 2013 e riguardano le Regioni italiane (con azioni legislative, regolamentari e di sostegno-promozione) ed i soggetti destinatari di tale riordino-riforma e cioè le Province, i moltissimi Comuni italiani di piccole dimensioni, i 10 Comuni metropolitani, le Comunità montane (che sompaiono subito dall’ordinamento, dopo 40 anni di esistenza).
A ciò si va in ultimo aggiugendo, ad opera del Governo, un brusco ridimensionamento del federalismo delle competenze e dei poteri delle Regioni, che è stato in vario modo conseguito e perseguito (anche con eccessiva enfasi), nell’ultimo decennio dai precedenti Governi; un ridimensionanamento che tuttavia necessita di una nuova modifica costituzionale del Titolo V per potersi compiere nella sua portata e su cui è però indispensabile una riflessione più complessa.
A Costituzione invariata, si tratta di cambiamenti (a meno di “pentimenti” di percorso o azioni “gattopardesche” di “contro-riordino”) di una portata tale da essre in assoluto la più rilevante degli ultimi 40 anni, dall’istituzione delle Regioni nel 1970 e dalla Riforma delle Autonomie locali del 1990. Anche se il movente principale, nel dibattito politico e nell’attenzione dell’opinione pubblica e mediatica, è stato (purtroppo) quasi esclusivamnete quello della riduzione della spesa pubblica ed in particolare dei “costi della politica” (ma è evidente a tutti che sotto questo profilo ed alla luce di ciò che riguarda il Parlamento e non poche Regioni, non sono le Province e neanche i piccoli Comuni o le stesse Città il problema principle), le prospettive di questo articolato cambiamento possono (e devono) andare oltre.
Si tratta cioè di cogliere, da subito, le potenzialità di fondo di questo passaggio, per una prospettiva in cui al più presto sviluppare un’innovazione del governo del territorio, della pianificazione e progettazione delle città e dei territori, della definizione e pratica di nuove politiche dello sviluppo locale, di maggiore efficienza amministratva ed efficacia per i cittadini e le attività e dunque anche di competitività e concorso a indispensabili azioni di crescita sostenibile.
Prescindendo dalla revisione delle competenze e dei poteri delle Regioni, tre sono i campi principai di questo percorso e processo.
1. l’istituzione delle Città metropolitane e la soppressione delle relative Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria a partire dal 1 gennaio 2014 (a 23 anni di distanza dalla L. 142 del 1990 che le introdusse ed ad 12 anni dalla modifica del TitoloV della Costituzione che le inserisce nell’ordinamento della Repubblica).
Alla Città metropolitana sono attribuite, oltre alle funzioni fondamentali delle Province: la pianificazione territoriale e delle reti infrastrutturali; la mobilità e viabilità; la promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale; la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché l’ organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano. Particolarmente adatte per questa nuova Istitzione del governo del territorio si possono ritenere sia la pianificazione strutturale che una pianificazione strategica, lasciando ai Comuni metropolitani, in coerenza con tali pianificazioni, i piani operativi e gli strumenti regolativi.
Organi della Città metropolitana saranno il Consiglio metropolitano (elettivo di secondo grado e dunque rappresentativo dei Comuni metropolitani)[1] ed il Sindaco metropolitano; lo Statuto della Città metropolitana stabilirà se il Sindaco metropolitano: a) sia eletto a suffragio universale e diretto; b) sia eletto di secondo grado (con le modalità stabilite per l’elezione del Presidente della Provincia); c) sia di diritto il Sindaco del Comune capoluogo.
2. Il riordino delle Province e delle loro funzioni, sulla base di due requisiti minimi: la dimensione territoriale non inferiore a 2.500 Kmq; la popolazione residente non inferiore a 350.000 abitanti (con il conseguente dimezzamento del numero delle Province italiane).
Sono funzioni delle Province quali enti intermedi di area vasta: la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento e la tutela e valorizzazione dell’ambiente; la pianificazione dei trasporti in ambito provinciale, in coerenza con la programmazione regionale nonché la costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali; la programmazione e gestione dell’edilizia scolastica della scuola secondaria superire.
Gli organi di governo della Provincia non prevedono più la Giunta e gli Assessori e sono esclusivamente il Presidente ed il Consiglio provinciale (col sistema elettivo di secondo grado, anche se sarebbe auspicabile una forma “mista” e cioè con la elezione a suffragio universale del solo Presidente e di secondo grado per ilConsiglio).
Nel riordino indubbiamente forte delle Province è importante partire dall’ avvenuto riconoscimento del ruolo centrale della dimensione provinciale nella pianificazione e governance di area vasta e locale, in cui trovino affermazione i principi di adeguatezza e di autonomia amministrativa, fiscale e gestionale, nel momento in cui è necessaria una loro organica espressione e riorganizzazione.
3. L’esercizio associato obbligatorio di funzioni e servizi dei Comuni, con popolazione fino a 5.000 abitanti (fino a 3.000 abitanti se facenti parte di Comunità montane), mediante Unione di Comuni o Convenzione fra Comuni, da realizzarsi già dal 1 gennaio 2013 e da concludersi entro il 1 gennaio 2014, pena il commissariamento; con in primo luogo fra tali funzioni associate, la pianificazione urbanistica (che potrebbe finalmente riprendere una più idonea dimensione intercomunale avvalendosi del Piano strutturale dell’Unione, non conformativo della proprietà, e lasciando ai Comuni, in coerenza con esso, gli strumenti regolativi e gli eventuali piani operativi).
E’ importante ritenere che quanto fin qui sintetizzato possa ragionevolmente costituire uno scenario in divenire più favorevole:
– per Province che siano più ente intemedio di quanto non lo siano forse mai state[2], per Unioni di Comuni e Città metroplitane che sappiano esprimere politiche e progettualità integrate volte al contenimento del consumo di suolo, alla rigenerazionee urbana, al risparmio energetico, alla efficienza ed efficacia del sistema della mobilità, all’equilibrio ecologico ed ambientale, all’attribuzione di valori condivisi alle qualità della città e dei territori, ad una sostenibile e mirata fiscalità urbana;
– per l’attivazione di progettualità dai territori locali in vista di auspicabili nuove politiche europee di crescita, coesione e sostenibilità energetico-ambientale catturando finanziamenti della Programmazione 2014-2020 (che saranno assegnati quasi esclusivamente a progetti secondo l’approccio Community Led Local Development-CLLD).
L’innovazione non solo delle dimensioni ma conseguentemente (deve essere così!) dell’assetto istituzional-territoriale con le Unioni di Comuni, delle Province riordinate, delle Città metropolitane e soprattutto le nuove forme di governance che potrebbero svilupparsi, evidenziano proprio l’ utilità transcalare di un nuovo modo di pianificare il territorio e le Città con Piani formati con la copianificazione in cooperazione con gli Enti che governano l’area vasta; cogliendo fino in fondo la portata innovativa e sostanziale sia della articolazione e distinzione fra Piano strutturale, Piano operativo e Regolamento urbanistico, sia della Perequazione territoriale, intesa come metodo ed azioni per facilitare scelte concordate tra comuni limitrofi (e dal 2013 nelle Unioni e fra Unioni di Comuni) in tema di risparmio di suolo e riduzione delle esternalità negative sull’ambiente e il paesaggio, attivando forme di intercomunalità solidale e cioè giochi a somma positiva nello sviluppo locale, strumenti redistributivi che bilanciano costi e benefici tra i Comuni vicini.
Si tratta peraltro delle proposte sostenute e promosse nella loro sperimentazione dall’INU ormai da un quindicennio, ma ancora lontane dall’essere realmente e sufficientemente conseguite nel loro significato ed efficacia, sia con riferimento alle numerose nuove leggi regionali della pianificazione, sia soprattutto alla ancora clamorosamente mancante legge nazionale di principi fondamentali del governo del territorio.
Carlo Alberto Barbieri
(11.10.2012)
[1] A seconda della dimensione della Città metropolitana sarà composto da un minimo di 10 membri e da un massimo di 16 eletti tra i Sindaci e i consiglieri comunali dei Comuni della città metropolitana (garantendo snellezza della rappresentatività).
[2] Per più congrue dimensioni e mediante l’elezione di secondo grado, maggiormente rappresentative del proprio territorio ed efficaci nella sua pianificazione e coordinamento.