L’Inu al World Urban Forum: una buona urbanistica per la sostenibilità del pianeta
23/02/2018
Kuala Lumpur ha ospitato dal 7 al 13 febbraio scorsi il nono World Urban Forum festeggiando anche la nomina di una sua concittadina, l’urbanista Maimuna Mohd Sharif, a nuovo direttore esecutivo di UN-Habitat. L’Inu ha partecipato attivamente al Forum organizzando due eventi su altrettanti temi centrali del Forum. Il primo aveva per titolo “Saving the Planet by Design: Making urbanisation sustainable by creating humane urban space” e “Cities for All: Popularizing the New Urban Agenda”.
Il primo evento è stato condotto in partenariato con l’”Inu cinese”, la Urban Planning Society of China” (UPSC), che ha partecipato con il suo segretario generale, Shi Nan, e con il direttore dell’Ufficio del Piano di Pechino. L’UPSC ha coordinato assieme all’INU uno dei dieci “policy papers” preparatori ufficiali per la Conferenza Habitat III, “Urban Spatial Strategies”: Land Markets and Segregation.
La presentazione dell’Inu è partita dalle constatazione che entro il 2050 l’aumento della popolazione del pianeta sarà di 3 miliardi e trecento milioni di persone, e che il 96 per cento di questo aumento si insedierà nelle città dei paesi in via di sviluppo. Poiché’ le città generano già il 70 per cento dei rifiuti, del carico inquinante e degli impieghi di suolo e di energia, è evidente che la salvezza del pianeta è nelle mani di chi riuscirà a gestire in maniera intelligente i fenomeni di urbanizzazione presenti e futuri. Da qui il titolo “Saving the Planet by Design”. Ma oggi non è così: la quasi totalità delle nuove urbanizzazioni “greenfield” avvengono, soprattutto nelle regioni in via di sviluppo, seguendo due modelli ugualmente perniciosi per la salute ambientale e la qualità della vita urbana – urban sprawl e vastissime lottizzazioni informali da una parte, ed edilizia di intensità esasperata dall’altra– entrambi esempi di “non citta” fondati sull’uso quasi esclusivo dell’automobile.
L’Inu ha suggerito la necessità di “imparare dalla città” e di riscoprire la “magia dell’ordinario” del quartiere, richiamandosi alle realizzazioni italiane e di molti altri paesi a cavallo tra le due guerre. Questi quartieri sono oggi esempi di “sostenibilità inconsapevole” (densità edilizia appropriata, un impianto stradale semplice e chiaro, buona dotazione di spazi pubblici e di giardini, presenza di esercizi commerciali di prossimità, buoni collegamenti pubblici) e di una “dimensione umana” dell’abitare fondata sulla frequentazione dello spazio pubblico e sulla presenza di un forte mix di livelli di reddito e provenienza etnica.
Pur minacciati da processi di gentrificazione derivanti proprio dalla loro alta appetibilità di mercato, questi quartieri ci indicano una inaspettata direzione progettuale che merita di porsi come seria alternativa ai modelli ecodistruttivi della città diffusa e della concentrazione esasperata.