In memoria di Vincenzo Cabianca
01/08/2015
Di Maurizio Carta
Vincenzo Cabianca, Cenzi come lo chiamavano gli amici, ci ha lasciati durante il plenilunio blu del 31 luglio, a 90 anni trascorsi ad essere un maestro perenne e un urbanista militante, capace di coniugare pensiero e azione, scienza e poesia, tecnica urbanistica e umanesimo, Astengo e Shakespeare.
Dell’INU Cabianca è stato un pilastro culturale e un animatore instancabile, vicepresidente dal 1969 al 1972, e anche quando si è allontanato dalle responsabilità operative è sempre rimasto culturalmente legato al pensiero e all’azione propria della matrice fondativa dell’Istituto Nazionale di Urbanistica. Il suo modo di essere urbanista, infatti, di ragionare sul territorio e di progettare città o paesaggi è sempre stato quello di avere contemporaneamente una grande capacità di teorizzazione e di astrazione, ma di non sottrarsi dalla dimensione militante, e dalla attività progettuale estrarre gli elementi, le componenti, le passioni, gli strumenti che arricchiscono il suo pensiero e lo traducono in modelli e metodologie.
Cabianca nel 1968 fonda all’interno della Facoltà di Architettura la “Scuola di pianificazione di Palermo” portando una visione internazionale che svecchiasse, senza ripudiarla, e arricchisse la cultura urbanistica vigente. Una Scuola che ha avuto la peculiarità, oltre che nel rigore del metodo scientifico e nella sensibilità umanistica, anche nella sua passione di saper costruire gruppi interdisciplinari che lavoravano insieme, fino a notte fonda, che scalavano montagne – sia in senso metaforico che reale nei molti sopralluoghi – per stare dietro a lui che le scalava con maggiore vitalità. Una Scuola, ancora oggi attiva e riconosciuta, che lui ha guidato con metodo e con l’esempio fino al suo pensionamento e poi da Professore Emerito dell’Università di Palermo.
Tutti gli urbanisti e i pianificatori siciliani, ma anche molti studiosi di altre discipline e di altri luoghi, devono qualcosa a Cenzi: alcuni di noi gli devono moltissimo, gli devono la passione, l’aver capito che non ci sono confini tra le sinapsi, le connessioni che si possono fare nel nostro mestiere: ci ha insegnato ad individuare elementi e risorse che apparentemente potevano stare su piani paralleli e che invece si incontravano alimentate dalla passione di comprendere che la pianificazione è non solo tecnica, ma atteggiamento complesso e cultura della trasformazione del territorio. Non è solo scienza, soltanto produzione di procedure, di teorie o di pratiche, ma è un modo olistico di considerare l’evoluzione metabolica del territorio, e non soltanto il suo sviluppo, la sua crescita, l’ottimizzazione delle sue funzioni, la sua reticolarizzazione, etc.
E’ stato un progettista prolifico di musei, di piani regolatori e di piani territoriali, di parchi archeologici e di paesaggio. La sua lezione urbanistica più importante è contenuta nel Piano Regolatore di Siracusa, per il grande valore civile prima che scientifico, culturale prima che urbanistico di quel piano. Ma il suo grande testamento cultuale, l’opera nella quale ha sintetizzato tutta la sua sapienza, e che ancora per molti anni ci rivelerà preziose indicazioni per la pianificazione, il Piano Territoriale Paesistico delle Isole Eolie (1994-97), perché lì Cenzi ha ripreso passioni, sfide e anche alcuni strumenti della sua esperienza siracusana. Un piano che è la sintesi di necessità conservative e di opportunità di trasformazione, di opportunità di far dialogare diversi soggetti e di necessità di comporre conflitti, al fine di individuare gli elementi assolutamente non negoziabili per poter dare la forza agli elementi che possono essere negoziati. Un piano che riprende la lezione siracusana di non guardare solo all’epidermide del territorio, ma al suo spessore, alla sua fibrosità, leggendo l’intero palinsesto. Il modo con cui Cabianca pianifica è come si racconta facesse Michelangelo, vedendo la statua dentro il blocco di marmo e lavorando di scalpello per liberarla. E così fa Cenzi nei confronti del territorio, estraendovi il piano che vi è contenuto: lui vede lì dove altri non riescono a percepire nulla, e io ricordo le sue mani che si muovevano nell’aria a simulare la plasticità delle Eolie, la geomorfologia dei vulcani, come se le avesse davanti, dopo averle viste per lungo tempo allo stereoscopio. E non c’era luogo in cui Cabianca avesse soggiornato che non avesse da qualche parte conservata una delle valigette di legno con dentro uno stereoscopio, che aveva comprato in quantità in modo da non esserne mai sprovvisto quando necessario. Così ci ha insegnato a vedere il territorio, la sua complessità, a svelarne la storia. Cabianca ha sempre pianificato in quattro dimensioni: le tre tradizionali e la quarta che è il tempo. Non ha mai dimenticato che il tempo è una variabile fondamentale del territorio, della storia, della comunità e della pianificazione, quel tempo che permette di capire le criticità nell’attuazione, quel tempo che fa comprendere come alcune trasformazioni abbiano bisogno del tempo lungo dell’assimilazione delle soluzioni.
Nel Piano Paesistico delle Eolie Cabianca ha saputo intervenire con lungimiranza sulla conservazione e trasformazione compatibile delle Eolie con grande capacità innovativa, anticipando soluzioni che il dibattito disciplinare inizierà a trattare poco dopo e che negli ultimi anni sono diventate patrimonio normativo dell’Europa con la Convenzione Europea sul Paesaggio. L’opera di Cabianca per le Eolie ha anche valso alle isole il conferimento dello status di Patrimonio Culturale dell’Umanità da parte dell’Unesco. E per chi scrive è stata una fondamentale esperienza aver collaborato per anni alla redazione del piano e alla predisposizione di un primigenio sistema informativo territoriale a supporto della pianificazione.
La grande lezione delle Eolie è stata per Cenzi totalizzante, produttrice anche di delusioni per alcune scelte delle amministrazioni locali e regionali frutto della incapacità di gestire un piano di tale portata innovativa. Perché quel Piano conteneva delle innovazioni gestionali, delle proposte per la sostenibilità socio-economica e delle norme che la comunità istituzionale regionale non era in grado di gestire perché non banalmente conformi ad una norma vetusta quale quella dell’impianto giuridico della tutela paesaggistica in quegli anni. Era un piano che conteneva “strategie di valorizzazione del paesaggio” – un’eresia nel 1997 – conteneva alcuni “provvedimenti attivi”, cioè delle indicazioni che avrebbero compensato il rigore conservativo per quelle parti delle Eolie che andavano tutelate con il massimo livello di protezione, proponendo le prime forme di compensazione qualitativa e progettuale. Il piano anticipava gli “obiettivi di qualità” oggi prescritti dal Codice del Beni Culturali.
E dalle Eolie Cenzi non si è più separato, tanto che fino agli ultimi giorni è stato impegnato nella promozione del Parco Archeologico e Vulcanologico Eoliano e del Parco Omerico della letteratura dei Vulcani Eoliani. E anche molte opere del suo ampio corpus di “poesia della scienza” sono ispirate o dedicate alle Eolie, amore di studioso e passione di pianificatore militante.
Anche l’attività pubblicistica è ampia, ma sono in particolare pubblicazioni come “Il recupero democratico delle città”, “Vertenza Palermo centro storico”, “La conoscenza come matrice di libertà, la pianificazione come matrice di pari opportunità”, la parafrasi Calviniana de “La città delle rondini” e “Teorema Siciliano” che denotano il forte intreccio tra dimensione scientifica e dimensione umanistica, sociale, urbanistica e politica.
Io sono certo che gli studiosi del futuro, quando analizzeranno il vasto corpus delle sue opere e dei suoi progetti, si chiederanno se Cabianca fosse una persona o se invece, come Omero o come Shakespeare, fossero più persone, una comunità; perché riterranno impossibile che una sola persona possa aver fatto tanto, sia stata in grado di incidere con tale profondità e vastità nella cultura urbanistica italiana, sia stata militante e teoretica, abbia agito sia sulle istituzioni che sull’accademia. Ebbene noi sappiamo che Cenzi Cabianca è stato unico, ma ha avuto la capacità di trasferirsi in molti di noi, fecondandoci col suo pensiero e con il suo esempio, e rendendoci incapaci di dimenticare la sua straordinaria lezione. E soprattutto una lezione ci ha trasmesso: quella che il suo amato Shakespeare faceva dire a Sinicius “What is the city but the people?” e faceva rispondere ai cittadini “True, the people are the city”.
Grazie Maestro per quello che ci hai trasmesso e per quello che ancora ci insegnerai dalla tua immortalità culturale.