I nuovi percorsi delle relazioni tra comuni e imprese – Trasparenza e partecipazione, governo del territorio, città metropolitane
13/10/2014
icom e CITTALIA
Introduzione
I rapporti tra amministrazioni locali e imprese sono spesso immaginati (e talvolta purtroppo lo sono) come relazioni conflittuali, dove il guadagno di una delle due parti debba avvenire a scapito dell’altra (in un gioco a somma zero, per non dire a somma negativa nelle situazioni di maggiore scontro). Questo studio intende portare all’attenzione come, attraverso procedure e regole disegnate e attuate in maniera corretta, sia possibile che il gioco tra amministrazioni locali e imprese diventi più spesso di quanto accada oggi a somma positiva, cioè a benefi cio di entrambe le parti e in ultima istanza dei cittadini degli 8.057 Comuni italiani.
Da un lato, le amministrazioni locali hanno oggi più che mai bisogno di collaborare con le imprese, anche a causa dei vincoli di finanza pubblica che nella maggior parte dei casi non permettono un livello adeguato di investimenti nel miglioramento di tanti ambiti di policy comunale. Dall’altro, le imprese hanno più che mai bisogno di amministrazioni efficienti alfine di vincere una sfida competitiva sempre più difficile in questi tempi di crisi. E, in questo senso, le amministrazioni locali, per via del ruolo sempre maggiore che hanno esercitato negli ultimi decenni e per vicinanza agli interessi del territorio, possono essere potenzialmente dei partner ideali (nella diversità dei ruoli).
Perché le relazioni tra comuni e imprese possano sfruttare al meglio il potenziale elevato oggi a disposizione occorre lavorare almeno su tre fronti.
In primo luogo sulle procedure, sia nazionali che locali, che regolano i rapporti tra amministrazioni territoriali e imprese. Non per aumentare evidentemente i vincoli burocratici per le imprese e gli oneri di compliance per i Comuni ma in direzione della massima trasparenza, per rafforzare le garanzie su esiti e tempi certi ai processi amministrativi e consentire ai cittadini di comprendere al meglio i benefici di eventuali progetti proposti dai privati. Allo stesso tempo, occorre utilizzare tutti i canali possibili (anche i più innovativi e non solo quelli già previsti per legge) per garantire la parità di accesso alle opportunità di ingaggio che l’ente locale offre nell’implementazione delle proprie politiche. Va anche garantita la massima partecipazione possibile alle decisioni, a beneficio di tutti i portatori di interesse (imprese, associazioni, cittadini, altre autorità pubbliche). Anche qui gioverebbe, se non una procedura unica che valga per tutti i Comuni, quantomeno una maggiore standardizzazione e un’istituzionalizzazione di procedure che, allo stato attuale, lasciano ancora troppo spazio a interpretazioni individuali e, di conseguenza, a rischi di disuguaglianze. Come dimostrano i casi citati nel capitolo 1 non mancano gli esempi virtuosi di amministrazioni che hanno previsto soluzioni ad hoc o hanno saputo riadattare strumenti pensati già due decenni fa come lo Sportello Unico per le Attività Produttive e l’Ufficio Relazioni con il Pubblico. Tuttavia, soluzioni improvvisate o à la carte rischiano di non essere più adeguate. Occorre fare un passo in avanti.
Naturalmente, il passaggio da un gioco a somma zero (o addirittura negativa) a un gioco a somma positiva appare più difficile nel caso di infrastrutture che hanno un impatto locale con costi attesi (almeno percepiti) superiori rispetto ai benefici attesi. Qui, oltre a garantire una procedura trasparente e partecipata, circostanza che può senz’altro aiutare e talvolta potrebbe risultare decisiva, specie se attuata il prima possibile, prima che si cristallizzino i giudizi (e i pregiudizi), occorre ridiscutere la questione delle compensazioni. Che rappresentano una questione molto delicata ma tuttavia ineludibile affinché il segno da zero diventi positivo, non solo per l’impresa che può portare avanti il progetto, avendo ricevuto tutte le autorizzazioni previste dalla legge (possibilmente entro tempi certi e in maniera semplificata e irrevocabile), ma anche per la cittadinanza rappresentata dai Comuni. Difficile pensare a una compensazione one-fits-all ma perlomeno occorrerebbe definire meglio i termini della trattativa tra enti territoriali e proponenti del progetto e fissare alcuni paletti che consentano di giungere più facilmente di quanto accada oggi a un accordo ragionevole per tutte le parti in causa. E che soprattutto determinino un equilibrio stabile e robusto nel tempo, indipendente dal mutare delle condizioni politiche rispetto a quando è stato raggiunto.
Un’opportunità da non perdere sulla strada di un’interazione positiva tra amministrazioni locali e imprese è il decollo delle città metropolitane, che si sta finalmente concretizzando al termine di un travaglio pluridecennale, che ha preso avvio con la legge 142/90. Entro la fine dell’anno dovranno essere redatti gli statuti delle otto città metropolitane delle regioni a statuto ordinario (alle quali si aggiungeranno presto Venezia e Reggio Calabria attualmente commissariate), che da sole producono oltre un terzo del PIL del Paese (34,7% secondo i dati del 2012).
Il capitolo 3 della ricerca svolge una rassegna delle esperienze di partenariato pubblico-privato a livello metropolitano nei principali Paesi esteri (Francia, Germania e Regno Unito) che, pur nella diversità degli ordinamenti, potrebbero essere mutuate nei casi ritenuti più virtuoso negli statuti delle città metropolitane. All’interno di istituzioni di assoluta rilevanza per la vita delle imprese e allo stesso tempo dotate di una forte complessità strategica e gestionale, prevedere dei luoghi permanenti di consultazione e di partecipazione alle decisioni delle imprese (in parallelo naturalmente rispetto a strumenti di coinvolgimento della cittadinanza) potrebbe essere una chiave interessante per lo sviluppo non solo delle città metropolitane ma anche dell’intero sistema economico italiano.
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