Consultazione pubblica “Invito della Commissione Europea a contribuire a configurare la futura Agenda Urbana dell’UE. European Commission – IP/14/858 del 22/07/2014
06/10/2014
Contributo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) – Italia
L’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), fondato nel 1930, è un Ente di alta cultura e di coordinamento tecnico giuridicamente riconosciuto. Organizzato come libera associazione di Enti e persone fisiche, senza fini di lucro, persegue la ricerca nei diversi campi di interesse dell’urbanistica, l’aggiornamento continuo e il rinnovamento della cultura e delle tecniche urbanistiche, la diffusione di una cultura sociale sui temi della città, del territorio, dell’ambiente e dei beni culturali.
A seguito dell’Invito della Commissione Europea, l’INU, attraverso il presente contributo, intende offrire spunti per concorrere a configurare una Agenda Urbana europea.
L’INU chiede con forza che la questione urbana sia rimessa al centro delle agende politiche, delle esigenze della popolazione e di quelle economie che richiedono azioni diverse e nuove prospettive organizzative.
La questione urbana rappresenta il grande tema sul quale si richiama la necessità di una programmazione di livello europeo e nazionale. Una programmazione che superi quella settoriale in atto attraverso una agenda urbana che integri la programmazione comunitaria 2014-2020 e le politiche ordinarie sulle città.
Per l’INU l’Agenda urbana investe beni comuni, diritti, capacità di rigenerare fisicamente i territori e le città, per coglierne la ricchezza e le differenze di contesto.
Questo sguardo complessivo, a più livelli, non solo fisico e spaziale, ma anche economico e sociale, rimanda all’Europa delle città che “formano la spina dorsale del territorio europeo e svolgono un ruolo importante ai fini dello sviluppo e della coesione territoriale”.
Per farlo occorre superare gli apparati difensivi quali le gabbie amministrative, la frammentazione delle politiche, l’iperproduzione legislativa, l’accanimento sui perimetri: confini amministrativi, di zona, vincoli normativi, vincoli di definizione.
Occorre riscoprire il valore del progetto, la capacità di gestire i processi, guardando alla città reale, valutando la dimensione per un governo del territorio efficace, per intervenire nella città reale, rispondere alle aspettative della popolazione, alle capacità d’impresa; perché il policentrismo, storica matrice formativa del territorio e della cultura materiale, ma anche modello alla base del processo economico, industriale in Italia, non può essere governato pensandolo separatamente dalle politiche ambientali, stretto in confini fisici o amministrativi, alla ricerca di una forma urbana che non esiste e non rappresenta la molteplicità degli ambienti urbani.
In tale contesto si elencano alcuni punti, che si offrono alla discussione pubblica per dialogare con il mondo delle istituzioni europee.
Innanzitutto questi primi anni del secolo si caratterizzano per i grandi cambiamenti che riguardano la città, il suo territorio e la società che la popola. Circoscrivendo il campo alla città europea e a quella italiana, da almeno vent’anni si registra un primo cambiamento, sempre più evidente, relativo ai sistemi insediativi urbani, con l’esplosione della città sul territorio e la formazione di una nuova città, metropolizzata o post-metropolitana, lontanissima dal processo di espansione più o meno regolare e continua nella sua produzione di periferie metropolitane, che ha caratterizzato la città industriale prima e quella moderna poi e che l’urbanistica ha cercato di governare attraverso modalità regolative in un’ottica generale di razionale zonizzazione.
La città contemporanea, dove anche in Italia vive la maggioranza della popolazione (circa i 2/3), è una città ormai in buona parte porosa e discontinua, costituita da sistemi costruiti, semi costruiti e aperti, con una grande offerta di aree che nel passato sarebbero state giudicate potenzialmente trasformabili (aree dismesse, sottoutilizzate, abbandonate, vuoti urbani di varia natura), che insieme formano un offerta di gran lunga superiore a qualsiasi domanda immobiliare, non solo pubblica ma soprattutto privata.
La città contemporanea è caratterizzata da un grave stato di insostenibilità, per la continua erosione di risorse ambientali per gli effetti inquinanti e congestivi, determinato da un modello di mobilità ancora troppo dipendente dalla motorizzazione privata e per l’enorme spreco energetico dovuto alle condizione di gran parte del suo patrimonio immobiliare e alle modalità di uso del suolo indifferenti a tale problematica.
Una città che va quindi affrontata per quello che è, sapendo che non sarà possibile trasformarla come immaginato dal precedente modello insediativo, con un insieme continuo di spazi urbani costruiti e aperti, contrapposti agli spazi del territorio extraurbano, che non potrà essere oggetto d’interventi di densificazione capaci di occupare tutte le porosità e le discontinuità che la caratterizzano, che dovrà essere trattata per la situazione complessa e più molecolare che la contraddistingue, fatta di spazi urbani con diverse densità e modalità di uso del suolo, di spazi seminaturali e naturali, dove possono essere anche compresenti le principali funzioni insediative urbane con quelle rurali.
Un secondo cambiamento, più recente e reso più evidente dagli effetti della crisi ancora aperta, riguarda l’economia della città, con una caduta verticale del settore immobiliare dovuta all’impoverimento della popolazione ed alla crisi occupazionale, al restringimento del credito, ma anche alla sovraproduzione degli ultimi decenni, che ha determinato un patrimonio edilizio tanto consistente, quanto incapace di soddisfare una forte domanda abitativa ancora presente; mentre si è ridotta anche la capacità produttiva delle città, in parte per la generale riduzione dell’occupazione (la crisi ha fino ad ora provocato la perdita di 1,3 milioni di posti di lavoro e la diminuzione del 9% della ricchezza delle famiglie e tre di valori negativi del PIL), che essendo relativa in buona parte al settore edilizio e a quello delle infrastrutture riguarda in modo specifico quella urbana.
La più evidente mutazione nell’economia delle città riguarda però la già ricordata crescente distanza tra la grande offerta di aree potenzialmente trasformabili e la richiesta del mercato immobiliare; una distanza che anche la fine della crisi, quando ci sarà, non colmerà e che è destinata a modificare gli stessi processi di formazione e accumulazione della rendita fondiaria urbana ed anche il suo valore economico complessivo.
Più in generale, si è ristretta la capacità competitiva delle città, non solo per gli effetti della crisi, ma anche per l’impatto dei nuovi modelli di governo e decisionale tuttora in fase di attuazione (Legge n. 56/2014 sulla istituzione delle città metropolitane, modifiche alle competenze delle province, obbligo delle unioni di comuni per l’esercizio associato di servizi) che non consente di compiere ad oggi adeguate e tempestive scelte, attingendo a tutte le risorse potenzialmente disponibili.
Le città inoltre, come tutte le amministrazioni locali, soffrono la radicale riduzione della spesa pubblica determinata dai tagli operati in sede centrale, non compensata da una razionale ed efficiente fiscalità locale, che ne mette in dubbio la capacità di mantenere i servizi erogati alla popolazione e di provvedere alla manutenzione delle sue infrastrutture ed ad incrementare il “capitale fisso urbano” come sarebbe necessario.
Il terzo grande cambiamento che riguarda la città è quello ambientale. Si è già fatto riferimento all’insostenibilità di una continua erosione delle risorse ambientali fondamentali, anche di quelle non riproducibili come il suolo, che l’attuale modello territoriale sollecita e come ciò debba indurre a perseguire un modello insediativo che comporti una drastica riduzione del consumo di suolo e la rinaturalizzazione delle molte aree libere interne alla città, la cui trasformazione non appare più plausibile a fronte dei possibili trend di sviluppo attesi.
L’eccessivo consumo di suolo agricolo e naturale non riguarda solo il paesaggio, ma problematiche ecologiche profonde, legate alla progressiva impermeabilizzazione dei suoli urbani e alla riduzione della copertura vegetale e quindi della capacità di rigenerazione naturale delle risorse ambientali fondamentali aria e acqua; ma è anche causa non secondaria dei cambiamenti climatici in corso e quindi del conseguente frequente susseguirsi di eventi meteorologici estremi che espongono a rischi sempre più gravi le aree urbanizzate, rese fragili da scelte urbanistiche sbagliate, soprattutto quelle relative al sistema idrogeologico superficiale. In questa prospettiva rientra anche il tema del paesaggio e dei beni culturali, troppe volte considerati settoriali rispetto alla pianificazione ordinaria.
Le riflessioni fin qui svolte costituiscono la necessaria premessa alle osservazioni puntuali in esito agli interrogativi posti attraverso il documento COM (2014) 490 final del 18/07/2014 dalla Commissione Europea.
Le risposte al questionario
D1. Quali sono le principali ragioni che giustificano la creazione di un’agenda urbana UE? In quali campi un’iniziativa a livello UE può produrre il massimo valore aggiunto? Quali aspetti dello sviluppo urbano trarrebbero beneficio da un approccio più concertato tra i vari settori e i diversi livelli di governance?
Un’Agenda Urbana UE potrebbe certamente servire ad accrescere la qualità, l’efficienza e l’efficacia delle politiche degli Stati membri in quanto costituirebbe un utile supporto per il coordinamento delle politiche, dei soggetti e dei livelli di governance degli Stati membri e contribuirebbe a una migliore comprensione dei contesti di sviluppo urbano in sede di concezione e di attuazione delle politiche urbane nazionali.
Tale apporto si reputa strategico sotto il profilo delle politiche ambientali che necessitano di una cornice europea prima ancora che nazionale (riduzione delle emissioni di CO2, adeguamenti climatici, Patto dei Sindaci, ecc.) e delle politiche infrastrutturali che incidono sulle reti di connessione, sugli impianti e sui nodi infrastrutturali delle città, dove i cicli dell’innovazione sono più veloci ed integrati, e sui sistemi regionali di città (city-regions). Ciò consentirebbe di attuare cooperazioni orizzontali e verticali (policentriche, metropolitane, macroregionali) per integrare ed equilibrare programmi infrastrutturali che discendono dal centro e spinte riorganizzative che provengono dal basso, per il riconoscimento delle diverse “visioni”, e il coinvolgimento diretto degli abitanti nei processi di sviluppo urbano.
D2. Un’agenda urbana UE dovrebbe essere focalizzata su un numero limitato di sfide urbane? Oppure dovrebbe delineare un quadro generale per incentrare l’attenzione sulla dimensione urbana delle politiche dell’UE a tutti i livelli, rafforzando il coordinamento tra le politiche settoriali e tra i responsabili a livello di città, Stati e UE?
Su questo aspetto si condivide il lavoro sin qui svolto attraverso l’Accordo di Partenariato 2014-2020 con il quale l’Italia ha indicato nelle città metropolitane, nei poli urbani di offerta di servizi e luoghi di innovazione e nelle aree interne, i territori prioritari per lo sviluppo.
Dunque l’approccio utilizzato appare consono e sembra delineare un quadro generale dei livelli istituzionali presenti sul territorio.
D3. Il modello europeo di sviluppo urbano delineato nella riflessione “Città del futuro” costituisce una base sufficiente per portare avanti il lavoro sull’agenda urbana UE?
Il modello europeo di sviluppo urbano delineato nella riflessione “Città del futuro” costituisce un’ottima base di partenza che va però implementata.
D4. In che modo i soggetti interessati a livello delle città possono contribuire meglio ai processi di sviluppo e attuazione delle politiche dell’UE? Le città devono essere maggiormente coinvolte nella definizione delle linee politiche a livello regionale, nazionale e dell’UE? In che modo?
E’ necessario coinvolgere maggiormente le città nella definizione dell’Agenda Urbana Europea. Ciò in quanto esse costituiscono i soggetti programmatori e attuatori delle politiche urbane ordinarie e della pianificazione del territorio e dunque sono direttamente consapevoli e responsabili dei processi di progettazione, controllo e regolamentazione dello spazio urbano edilizio e territoriale. Le Autorità urbane, come delineate dal documento strategico (PON Metro 2014-2020) elaborato dall’Italia, non risultano chiaramente definite e investite di reali poteri di programmazione, gestione e monitoraggio.
D5. Quali sono i modi migliori in cui promuovere una più forte base delle conoscenze urbane e territoriali e lo scambio di esperienze? Quali aspetti specifici della base delle conoscenze devono essere rafforzati per sostenere meglio il processo di elaborazione delle politiche?
E’ necessario rafforzare l’uso, la comprensione e lo scambio di esperienze tra i decisori a tutti i livelli. Tale operazione può svolgersi utilmente attraverso la disponibilità di piattaforme web, la costruzione di strumenti di monitoraggio condivisi, la costruzione di network nazionali ed internazionali, la redazione di mappe che possono costituire un utile supporto al riassetto istituzionale, alle politiche di governo nazionale, regionale e comunale, alla definizione di strumenti di intervento, alla allocazione di risorse pubbliche e private, al corretto utilizzo dei fondi europei.
D6. Quale ruolo dovrebbero svolgere il livello locale, regionale, nazionale e dell’UE nella definizione, nello sviluppo e nell’attuazione di un’agenda urbana UE?
L’attuazione di un Agenda urbana UE dovrebbe essere il frutto di una interazione e di uno scambio tra vari soggetti ai diversi livelli di governance. Tale reciprocità dovrebbe essere attuata attraverso la costruzione della strategia europea e nazionale, quale cornice programmatica dei programmi nazionali. Viceversa per i livelli istituzionali regionali e locali si dovrebbe procedere attraverso attività di co-progettazione condotta anche con il coinvolgimento di istituti culturali, quale è l’INU, soggetti privati, cooperative/associazioni/consorzi, che manifestano la volontà di attivare progetti che, anche sulla scorta del loro contributo, esprimano non solo la sommatoria dei knowhow ma aumentino ed ottimizzino il livello di qualità delle stesse proposte, al fine di strutturare ed orientare gli interventi in funzione di una gestione corretta e coordinata delle risorse.