Invito all’adesione al Gruppo di Studio INU “Città diffusa”

Copertina-Cittadiffusa_web12/05/2014
Apertura della nuova fase

Il Gruppo di Studio sulla Città Diffusa è attivo da anni in ambito INU ed ha recentemente concluso una prima fase del suo lavoro con la pubblicazione – per INU Edizioni – del volume “La città fuori dalla città” , da cui emerge con forza l’esigenza di costruire un “sapere progettuale” specificamente orientato sui contesti della diffusione insediativa – un sapere di cui si avverte fortemente la mancanza, che sia in grado di radicarsi ed essere riconosciuto da una nuova cultura del governo del territorio, ma anche di articolarsi in relazione alla grande varietà di forme che la città diffusa assume sul territorio. Per questo, per portare avanti il lavoro nella direzione intrapresa, il Gruppo di Studio sulla “Città Diffusa” si sta ora ricostituendo dopo il XXVIII° Congresso dell’INU dell’ottobre scorso, in cui i temi della nuova forma della città contemporanea e della diffusione insediativa sono stati, come era inevitabile, tra quelli più presenti nel dibattito.
Ferme restando le linee portanti, ovvero gran parte dei capisaldi concettuali che hanno guidato l’attività finora svolta, alla vigilia di questa nuova fase appare tuttavia necessario riconsiderare alcuni aspetti organizzativi, in particolare per quanto riguarda gli apporti delle Sezioni regionali: infatti, finora il Gruppo si è retto sul contributo di membri di tre sole regioni: Marche, Toscana e Veneto. E’ evidente che la grande diversità e complessità del fenomeno della diffusione insediativa nei vari contesti territoriali richiederebbe uno spettro di osservazione e di riflessione esteso anche ad altre realtà regionali e sub regionali e su ambiti molto diversificati; lo richiederebbe non tanto in base ad un’ambizione di completezza – comunque, ragionevolmente, mai realizzabile su questo tema – quanto perchè l’esperienza finora condotta all’interno del Gruppo ha dimostrato che ogni nuovo caso di studio aiuta – attraverso il confronto – nell’approfondimento e nella comprensione di tutti gli altri. E’ importante, dunque, che il Gruppo possa acquisire il contributo di conoscenza e di esperienza che viene da altre regioni: in questo senso sarà di grande rilevanza l’annunciata adesione di membri delle Sezioni Emilia-Romagna e Lazio, ma sarebbe molto prezioso anche l’apporto di qualche regione del Sud. Altro aspetto organizzativo riguarda l’articolazione del Gruppo in sottogruppi regionali: in questo modo, fermo restando il ruolo di coordinamento – metodologico e di indirizzo generale – in capo al Gruppo nazionale, i sottogruppi saranno liberi di auto-organizzarsi con maggiore snellezza e di orientare la ricerca in relativa autonomia sulle peculiarità dei contesti insediativi locali, così come è richiesto dall’estrema varietà della “città diffusa”.
Si espongono, in estrema sintesi, i contenuti di alcune riflessioni, tra quelle che hanno orientato l’attività pregressa, che il Gruppo intende ulteriormente sviluppare ed approfondire nella nuova fase.

Cosa intendiamo per città diffusa
Quando parliamo di città diffusa in Europa possiamo considerare tutti gli insediamenti che in questi anni hanno trovato diverse denominazioni: città continua, città infinita, città fuori dalla città. A differenza dello sprawl tutte queste forme insediative hanno la caratteristica di collocarsi in un territorio ricco di insediamenti e di elementi geografici vari che entrano, anch’essi, a far parte dell’insediamento diffuso del quale ci occupiamo. E’ importante evidenziare che alla base di queste scelte insediative non vi è il rifiuto della città, come si ritrova facilmente nello sprawl, ma la ricerca di una città diversa: gli abitanti, da qualsiasi parte provengano, portano con se la condizione urbana come condizione funzionale e culturale.
Pur presentando alcuni addensamenti e tipologie intensive la dispersione spaziale è elemento comune di tutte le forme di “città diffusa” così come è elemento comune la presenza di molti spazi liberi che ne costituiscono un fattore strutturale. Nella sua costruzione la “città diffusa” ha sostituito il processo di densificazione con un processo di espansione tendenzialmente interconnessa.
Altro aspetto caratteristico è l’integrazione funzionale che rifiuta lo zoning e tende a relazionare fra loro funzioni molto diverse: la campagna entra a far parte dell’urbano mantenendo le sue funzioni agricole anche se ovviamente adattate ai nuovi contesti insediativi. L’integrazione riguarda anche le diverse scale di organizzazione e uso del territorio: scala di prossimità, scala comunale e scala di area vasta molto spesso sono presenti contemporaneamente nel sistema funzionale e nelle relazioni dei territori della “città diffusa”. La connessione tra una scala e l’altra è data dalle modalità d’uso che divengono elemento fondamentale per la comprensione di questi territori. Gli abitanti usano il territorio in modo spazialmente continuo che prescinde dalle divisioni amministrative sulle quali si fonda l’attuale pianificazione urbanistica.
Nelle pratiche d’uso l’attraversamento è l’attività che sintetizza la complessità della città diffusa. Con l’attraversamento l’abitante ricompone in se stesso quella complessità urbana che non può trovare nei singoli frammenti insediativi attraversati o raggiunti: i frammenti tendono a riconnettersi nell’area vasta e per questo, nel sentimento degli abitanti, la “città diffusa” è percepita, al di là dei frammenti, come una sorta di inedita, sia pure articolata e complessa “unità” alla scala del territorio.

Come intervenire nella città diffusa
E’ importante sottolineare che non si tratta di progettare la città diffusa bensì di progettare nella città diffusa. Questo significa che partiamo da ciò che c’è e ci poniamo, agendo per lo più a volume zero, l’obiettivo di modificare e integrare i significati e i valori degli spazi e delle architetture esistenti. Occorre quindi comprendere le potenzialità dell’esistente per costruire nuovi progetti di paesaggio nel diffuso. Per far questo occorre inserirsi all’interno delle pratiche d’uso degli abitanti e dei city users cercando di cogliere le relazioni che si stabiliscono tra pratiche e valori dello spazio, con particolare attenzione alle pratiche spontanee di appropriazione da parte di gruppi di abitanti di spazi pubblici o spazi privati abbandonati, alla mixitè funzionale, alle integrazioni scalari, ai luoghi suscettibili di trasformarsi in nuove centralità, agli spazi agricoli, per i quali occorre trovare il modo di mettere in relazione in termini progettuali le coltivazioni e la forma degli spazi. In generale si tratta di agire su più fattori, più funzioni e più scale contemporaneamente in modo che ogni azione risponda a più problematiche e, quindi, di realizzare connessioni, valorizzando a questo scopo le occasioni generate dai continui processi di trasformazione che si sviluppano più o meno spontaneamente nella “città diffusa”.

Strumenti di intervento
Rispetto ai criteri di intervento sopra succintamente delineati è evidente l’inadeguatezza della strumentazione progettuale correntemente adottata ed attualmente disponibile nella prassi urbanistica ed, in generale, nelle politiche di governo del territorio, in quanto strutturata prevalentemente, se non esclusivamente, secondo una logica analitica e frammentata in diversi, separati campi disciplinari e di intervento. La distinzione, tuttora praticata, fra progetto urbano e progetto di territorio appare sempre meno giustificata e si rivela sempre più inappropriato un approccio progettuale che non sia programmaticamente volto a cogliere e gestire le interferenze e le reciproche interazioni fra gli aspetti “urbani” e quelli tradizionalmente “extraurbani” o specificamente “rurali”, per estrapolarne le potenziali sinergie e ricavarne inedite sintesi; bisogna constatare che non risulta al momento disponibile e, tanto meno, codificata una strumentazione che traduca nel concreto l’idea che il recupero e la riqualificazione “urbani” non possono prescindere da una più complessiva “rigenerazione” del territorio.
Servono, dunque, nuovi strumenti, fondati sul potenziamento delle sinergie che possono derivare da un insieme coordinato di azioni che investano accanto all’edilizia, alle infrastrutture, all’organizzazione della mobilità e delle reti tecnologiche ed alla dislocazione delle funzioni, anche la bonifica dei suoli e delle acque, la copertura vegetale e le trasformazioni del paesaggio e che assumano al loro interno anche le azioni orientate allo sviluppo delle economie compatibili, tramite la pratica di veri e propri piani di sviluppo locale (dalle attività agricole, ai servizi privati, alle PMI), per non citare le azioni rivolte ad incidere in modo diretto sulle problematiche sociali. Al riguardo, uno dei pochi tentativi di muoversi in questa direzione sembra essere il Documento Programmatico per la Qualità Urbana (DPQU), introdotto dalla Legge Regionale 6/2009 dell’Emilia Romagna, che costituisce l’elaborato fondamentale propedeutico all’elaborazione dei Piani Operativi Comunali (POC) e del Programma di Riqualificazione Urbana (PRU) ed è riconducibile a una sorta di piano dei servizi: uno strumento innovativo a valenza socio-urbanistica, che si propone di agevolare l’unificazione fra le componenti sociali e quelle urbanistiche, spaziali ed ambientali in funzione della formazione dei POC e dei PRU.
Ma oltre all’esigenza di strumenti utili a coordinare e fare interagire gli interventi sugli aspetti più diversi, lo studio della “città diffusa” pone in evidenza anche che non si riesce ad incidere efficacemente sulle trasformazioni del territorio se gli strumenti impiegati non sono essi stessi costitutivamente “processuali” e “dinamici”. Sotto questo aspetto, il particolare “bisogno di governance” che scaturisce dallo studio della “città diffusa” stimola la ricerca di soluzioni innovative non solo per quanto concerne la strumentazione tecnico-disciplinare ed investe direttamente il piano degli assetti istituzionali (ad esempio: come organizzare una “governance” intercomunale “a geometria variabile” per le trasformazioni del territorio). Si tratta di temi che evidentemente sconfinano sul vasto terreno della riforma della Pubblica Amministrazione e che, pertanto, esorbitano dall’ambito disciplinare del Gruppo di Studio, il cui contributo, tuttavia, potrà essere utile se riuscirà a diffondere la consapevolezza di quanto essi siano contigui con i temi coinvolti negli interventi sulla “città diffusa”.

Questo documento è espressione del Gruppo di Studio che è stato attivo fino al XXVIII° Congresso, composto da: Maurizio Piazzini (coordinatore), Maurizio Morandi, Lorenzo Ranzato, Antonio Vicario, Valeria Frazzica, Francesca Baj, Laura Fregolent, Susanna Magnelli, Raffaella Massari, Marisa Fantin, Mario Piccinini, Daniel Screpanti, Massimo Orciani

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