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Consumo di suolo, nuova consapevolezza ma trend ancora immutato

15/01/2025

Da tempo la consapevolezza è mutata, eppure nonostante gli interventi legislativi la tendenza è sempre la stessa. L’undicesimo rapporto sul consumo di suolo ISPRA/SNPA fotografa una situazione in cui emergono tutte le difficoltà ad avviare un’inversione di rotta, ovvero fare della rigenerazione e del recupero le attività prevalenti in luogo dell’espansione edilizia.

“Viene confermata in Italia anche nel 2023 la crescita troppo elevata di consumo di suolo”, dice Michele Munafò, dirigente dell’ISPRA e curatore del rapporto. “Si parla di 72,5 chilometri quadrati di nuove superfici artificiali. Se è vero che c’è un leggero rallentamento e ci attestiamo al di sotto del record decennale fatto registrare nel 2022, il dato è alto, superiore alla media degli ultimi dieci anni. Il trend non è decisamente in linea con gli obiettivi sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite fatti propri dall’Unione europea e dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che puntano a un azzeramento del consumo di suolo entro il 2030. Oggi il ritmo è di 2,3 metri quadrati al secondo, un valore superiore alla soglia critica di 2 metri quadrati al secondo”.

Ribadita la diversificazione territoriale: “L’incremento è maggiore in pianura, nelle aree urbane e costiere. Vengono in generale confermati i valori alti in Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, ma anche in Piemonte, Lazio, Puglia, Campania, Sardegna, Sicilia. L’aumento di consumo di suolo è più contenuto nelle regioni più montane, come la Valle d’Aosta, la Liguria e il Molise. Non si vedono grandi sorprese, a parte forse un nuovo primato per quanto riguarda il consumo di suolo netto, che comprende il calcolo degli effetti delle azioni di ripristino: l’Emilia-Romagna ha superato la Lombardia ed è ora al primo posto tra le regioni. Sul valore lordo è invece in testa il Veneto”.

Guidano la classifica quindi regioni, come l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto, che hanno recentemente approvato norme che puntano proprio alla riduzione dell’espansione edilizia. Munafò al riguardo rileva che “è evidente che si tratta da un lato di provvedimenti che potranno avere effetti solo nel medio e nel lungo termine, e dall’altro non intercettano dinamiche che incidono molto sul calcolo complessivo. Penso in particolare alla logistica e alle infrastrutture, che di fatto rimangono fuori dal perimetro delle azioni regionali di contenimento”.

Ulteriore conferma viene dalla correlazione tra sviluppo economico e consumo di suolo: le aree più dinamiche dal punto di vista economico sono quelle in quelli si continua a “mangiare” più territorio. Il curatore del rapporto sottolinea: “Lauspicato disaccoppiamento tra crescita economica e impatto sull’ambiente ancora non c’è. L’esigenza di fermare il consumo di suolo imporrebbe di riorientare investimenti e sviluppo sul patrimonio esistente, ma di fatto gli effetti di scelte e azioni dichiarate e in parte intraprese in questo senso ancora non si vedono. Dovremmo evidentemente fare di più, a partire dall’approvazione di una legge nazionale che assieme all’azzeramento del consumo di suolo a preveda adeguati incentivi alla riqualificazione e alla rigenerazione. Tenere separati i due binari dal punto di vista normativo non funziona”.

Il rapporto affina e arricchisce di anno in anno metodi e comparazioni. L’ultimo ha introdotto la novità della registrazione degli usi, dalla quale è emerso che due terzi dei nuovi edifici non sono residenziali, e un focus sul regolamento europeo sul ripristino nella natura, approvato la scorsa estate. La ricerca ISPRA/SNPA ha cominciato a inquadrare le definizioni e fissare i perimetri delle aree in cui si dovranno intraprendere le azioni di recupero.

Chiamato a esprimere un parere sulla situazione e le tendenze negli altri Paesi europei, Munafò segnala l’esistenza di quadri diversi dei Paesi mediterranei rispetto a quelli del Centro e del Nord dell’Europa. Da noi la dispersione insediativa è più marcata, e quindi fissare confini tra aree urbane e aree rurali rischia di essere poco efficace, visto che le prime tendono a essere larghe.

 

Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica 

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