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L’interpretazione autentica dell’art. 41quinquies della legge urbanistica nazionale e i suoi effetti sulla trasformazione urbana

09/01/2025

Nel 1968, a pochi mesi dall’entrata in vigore della “Legge ponte”, l’allora giovanissimo Avvocato Fortunato Pagano scriveva sulla Rivista giuridica dell’edilizia un articolo dal titolo “Una norma di difficile applicazione: il VI comma dell’art. 41quinquies della legge urbanistica” nel quale criticava una norma “... che se venisse interpretata letteralmente, potrebbe bloccare, nei centri delle città, numerose attività edilizie.” In quell’articolo sosteneva che “... la norma non dovrebbe trovare applicazione nel caso di zone già completamente urbanizzate. È infatti da ritenere assurda un’interpretazione letterale ... in base alla quale i piani particolareggiati od i sostitutivi piani di lottizzazione sarebbero necessari anche per le zone nelle quali non si può assolvere alle funzioni istituzionalmente proprie di ambedue, solo quindi per poter rilasciare qualche licenza. Che interesse ha il Comune a varare un piano particolareggiato per zone provviste di tutte le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e quasi completamente edificate ...?”. Concludeva con un auspicio che  “... sarebbe opportuno che, nella prossima legislatura, si promuova sollecitamente la modifica della norma in oggetto .” Nel 1969 il Ministero pubblica una circolare[1] nella quale sembra riprendere la linea interpretativa proposta da Fortunato Pagano affermando che per la trasformazione di singoli lotti all’interno dell’edificato “... l'attività costruttiva potrà essere autorizzata in base alle previsioni del piano regolatore o del programma di fabbricazione, mediante singole licenze edilizie." Ma una circolare non ha valore di legge.

È trascorso più di mezzo secolo ma il legislatore non ha raccolto la sollecitazione e il tema della corretta applicazione della norma si pone ancora negli stessi termini denunciati da Fortunato Pagano, ossia: è ragionevole imporre l’obbligo di procedere alla formazione di un piano attuativo per realizzare interventi di trasformazioni di un singolo lotto nel tessuto urbano compiutamente consolidato? Non è invece compito dello strumento urbanistico generale definire le regole delle trasformazioni diffuse ivi compreso l’adeguamento della dotazione di infrastrutture, servizi e spazi pubblici? E questo compito non è forse stato correttamente assolto dalla stragrande maggioranza dei piani urbanistici comunali?

Questa è precisamente la questione, insieme alla precisazione degli interventi rientranti nella classificazione della “ristrutturazione edilizia”, trattata dal progetto di legge 1987 deliberato dalla Camera dei Deputati lo scorso 21 novembre , nel quale si stabilisce che la disposizione dettata dall’art. 41quinquies della legge urbanistica nazionale “... si interpreta nel senso che l’approvazione preventiva di un piano particolareggiato o di lottizzazione convenzionata non è obbligatoria nei casi di edificazione di nuovi immobili su singoli lotti situati in ambiti edificati e urbanizzati ...”.

Per quale motivo questa ragionevole interpretazione delle modalità applicative della disposizione di legge dovrebbe produrre effetti catastrofici su tutto il territorio nazionale? Perché mai fino ad oggi nessun altro Comune d’Italia ha adottato l’orientamento assunto dal Comune di Milano per autorizzare gli interventi di “rigenerazione” dell’edificato? Perché solo a Milano un così gran numero di interventi è oggetto di indagine da parte della magistratura penale?

I motivi della tempesta giudiziaria in corso a Milano sono molti e li avevamo riassumerli nel documento deliberato dal Direttivo di INU Lombardia nel febbraio scorso[2]. Riguardano da un lato la straordinaria vitalità del mercato immobiliare milanese e dall’altro le scelte, strategiche e normative, contenute nel Piano di Governo del Territorio e correlate all’evoluzione della legislazione regionale: fattori entrambi che non trovano paragoni nelle altre città italiane, compresa la Capitale, che rimane l’unica realtà confrontabile con Milano per entità dei valori immobiliari. Nel bene e nel male la condizione di Milano presenta caratteri di assoluta eccezionalità ai quali la variante al Piano di Governo del Territorio in corso di elaborazione sembra decisa, almeno in parte, a far fronte rivedendo il sistema di valutazione dei vantaggi pubblici da garantire nei processi di trasformazione.

Ma allora perché mai il testo approvato dalla Camera dovrebbe produrre una ondata di catastrofiche speculazioni? Perché improvvisamente si dovrebbero estendere a tutto il Paese le straordinarie pressioni che oggi si riversano su Milano? Come possiamo immaginare che tanti comuni italiani con la pubblicazione della legge mettano mano ai propri strumenti urbanistici adottando un orientamento che era già noto perché praticato a Milano da oltre un decennio? Nulla di tutto ciò mi sembra probabile.

Certo non è buona cosa mettere mano a testi normativi che proprio a causa delle molte parzialissime modifiche subite e delle frequenti e irrisolte contraddizioni con le disposizioni della legislazione regionale si presentano oggi al contempo complessi e fragili, come dimostra chiaramente la vicenda milanese. Una riforma generale della legge statale in materia di governo del territorio appare ormai irrinunciabile.

 

[1] Circolare ministeriale 14 aprile 1969, n° 1502

[2] Pubblicato su Urbanistica Informazioni n° 313, gennaio - febbraio 2024

 

Marco Engel - Presidente sezione Lombardia Istituto Nazionale di Urbanistica

salva milano