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Aree idonee, le incertezze sugli impegni per la transizione energetica

10/07/2024

È stato pubblicato nei giorni scorsi in Gazzetta Ufficiale il Decreto Aree Idonee per le Rinnovabili. Si tratta di un provvedimento molto atteso per sciogliere i dubbi sui criteri da adottare per gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, per il loro dimensionamento complessivo e per la scelta dei siti dove installarli. Il Decreto opera una sostanziale delega alle Regioni, assegnando a ciascuna l’obiettivo di una quota minima aggiuntiva di gigawatt di “energia green” da conseguire anno per anno fino al 2030 installando nuovi impianti. Per riuscirci le Regioni dovranno classificare i loro territori individuando aree idonee, non idonee, ordinarie e vietate, proprio per la realizzazione degli impianti per FER (eolici, fotovoltaici, geotermici, ecc.). Il Decreto fissa l’obiettivo di un aumento di 80 gigawatt su tutto il territorio nazionale, entro il 2030. Ma il percorso per giungere a tale obiettivo, e il Decreto stesso, presentano criticità di rilievo.

Simone Ombuen, membro effettivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e docente a Roma Tre, ricorda che “il Decreto è in realtà un provvedimento attuativo del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), e per analizzare la portata e gli impatti del Decreto va valutato anzitutto il piano che ne costituisce la cornice. Il PNIEC appena varato, documento fondamentale per la transizione energetica e climatica, è pieno di problemi e presenta numeri e stime che non rappresentano correttamente la realtà. Non prevede inoltre modalità attuative direttamente valutabili, tanto che l’ISPRA, incaricato di redigerne il rapporto ambientale per la VAS e di impostare le valutazioni di impatto significativo sull’ambiente, si è dovuto limitare a una elaborazione piuttosto generica”.

A fronte di un percorso del PNIEC di fatto non ancora concluso (è attesa a settembre una valutazione della Commissione europea, che risentirà dell’evoluzione del confronto sull’assegnazione degli incarichi nell’esecutivo comunitario), Ombuen ritiene che questo presenti “il grave deficit di individuare in modo generico gli obiettivi di decarbonizzazione e soprattutto di non precisare in modo concreto e valutabile le modalità operative per conseguirli”.

Alcuni esempi di incoerenza e debolezza, segnalati dall’esponente dell’INU: i nuovi obiettivi per le emissioni climalteranti non rispettano le indicazioni dell’UE, se non per gli impegni ricompresi nell’ETS; in particolare gli obiettivi per residenziale, terziario e trasporti sono chiaramente meno ambiziosi di quelli definiti dall’UE; a tutti i settori viene indicato di ridurre l’impronta carbonica, ma nel contempo si prevede che cresca il trasporto su gomma anziché spingere su un forte shift modale, e che l’elettrificazione abbia tutt’al più un ruolo complementare; il settore che dovrebbe contribuire di più al calo delle emissioni è quello dei consumi energetici degli edifici (le c.d. case green), che dovrebbero calare del 40 per cento, ma a meno di sei mesi dal termine ultimo degli interventi avviati con il 110 per cento non si ha ancora alcuna indicazione operativa su quali saranno in tale campo le politiche future; manca una strategia sulle biomasse in una fase in cui la raccolta dell’organico sta calando nelle città; si prevede nel 2030 che l’energia nucleare arrivi a costituire il venti per cento del mix, quando in Italia il settore di fatto non esiste più, né dal punto di vista industriale che per le capacità di ricerca.

Da un PNIEC generico e contraddittorio, scaturisce, spiega Ombuen, un Decreto aree idonee che rischia di risolvere poco: “Si dettano obiettivi di potenza aggiuntiva regione per regione, ma leggendo il decreto ci si accorge che i criteri su cui basarsi per individuare le aree sono molto generici. Viene ad esempio detto di puntare sul fotovoltaico nelle aree agricole, ma senza stabilirne le condizioni e le modalità. Si prevede il contributo dell’offshore, ma senza una reale regolazione effettiva, demandando alle Regioni il compito di accordarsi e quindi producendo rischi di conflitto. Eppure lo Stato ha competenza primaria in materia ambientale”.

La falla più clamorosa l’esponente dell’INU la vede “proprio nella quantificazione della potenza aggiuntiva: l’aumento di ottanta gigawatt di potenza da FER entro il 2030 corrisponde solo a circa il sessanta per cento dell’obiettivo dichiarato nel PNIEC. In generale c’è una rilevabile disconnessione tra il tessuto programmatico del PNIEC, già debole di suo, e questo provvedimento attuativo; e senza una realistica programmazione degli interventi è di fatto impossibile valutarne gli effetti negli strumenti della pianificazione urbanistico - territoriale, ambientale e paesaggistica, che pure costituirebbe il luogo naturale per ogni credibile valutazione di coerenza spaziale, e di ridefinizione delle priorità d’interesse pubblico”.

 

Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica

 

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