Il recente report dell’Istat sugli indicatori demografici nazionali conferma la forte dinamica depressiva che da tempo investe il nostro Paese, in termini di denatalità e invecchiamento. Nel 2023 si è registrato per la tredicesima volta di fila un minimo storico di nascite, 379mila. Sono aumentati di cinquantamila unità gli ultraottantenni, che sono complessivamente di più, per la prima volta, dei bambini al di sotto dei dieci anni di età.
E’ chiaro che di una situazione di questo genere sono vittime in primo luogo i territori più fragili, quelli delle aree interne, dove un quadro demografico debole rafforza la tendenza allo spopolamento. E’ il fenomeno delle shrinking cities, zone che in un lasso di tempo relativamente ridotto perdono una quota rilevante di abitanti.
Roberto Gerundo, componente del Consiglio direttivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e proboviro, docente all’Università di Salerno, ha da studioso, amministratore e professionista curato molti piani urbanistici che riguardano territori delle aree interne verificando “cali della popolazione che in alcuni casi sono persino incredibili, riscontriamo Comuni dove in pochi decenni i residenti si dimezzano. Certo che in queste zone la denatalità, che è un fenomeno culturale e riguarda tutto il Paese, e l’invecchiamento sono più avvertiti, perché la vita nei cosiddetti borghi è poco attrattiva, le grandi città offrono molto di più. La verità è che la scommessa del rilancio dei piccoli centri non è mai decollata e non sono servite formule come quelle della svendita delle case a un euro”.
Per Gerundo “la disciplina urbanistica si è molto concentrata negli ultimi tempi sulla questione dei servizi, ma il motivo fondamentale per cui si va via o comunque non si progetta la propria vita nei borghi è la mancanza di lavoro in attività produttive, e non si può certo dire che il turismo sia il driver esclusivo per invertire la rotta, se non in particolari condizioni, come le città d’arte o le aree costiere”. Visto che qualsiasi politica di sostegno alla natalità e di incentivazione economica necessita comunque di tempo per dare frutti, nel breve periodo “si può solo aumentare in modo sistematico l’immigrazione. Se il Mezzogiorno non si riempie di immigrati muore. Bisogna fare come all’inizio del Novecento in America, fare in modo che le famiglie si stabiliscano nelle zone interne, anche in prospettiva di lavori nell’agricoltura in cui non si trova più manodopera italiana. Vedo che già adesso alcuni sindaci per non chiudere i plessi scolastici hanno messo a disposizione alloggi vuoti per immigrati con minori a carico. È un tema certamente da sviluppare attraverso opportune forme di sostegno pubblico”.
Valeria Lingua, docente all’Università di Firenze, componente dell’Ufficio di Presidenza dell’INU e assessore all’urbanistica e mobilità in un piccolo comune, ritiene che “l’invecchiamento e lo spopolamento nelle aree interne sono dovuti anche al fatto che i giovani migrano a causa della lontananza dai servizi. Per quanto riguarda la salute sono spesso garantiti dalle associazioni, che provvedono all’assistenza sanitaria di base, mentre per altri servizi è difficile farlo senza che si attivino delle dinamiche di cooperazione. E’ il caso della scuola: i comuni sono tenuti a garantire i servizi della scuola dell’obbligo (manutenzione edifici, trasporto studenti), anche con dinamiche intercomunali, ma dalle scuole secondarie il trasporto in queste aree fa riferimento ai capoluoghi ed è spesso su linee extraurbane. Anche i negozi di prossimità, lo sport, le attività ricreative e culturali, tanto importanti proprio per i giovani, in queste aree vanno gestiti in un’ottica di area vasta per garantire i bacini di utenza. In generale, chi vive in questi luoghi cerca anche altro, vi si lega e questa può essere una chiave importante su cui agire. Inoltre, occorre pensare al governo di questi territori anche con diverse temporalità: la stagionalità del lavoro incide in alcuni luoghi, che si popolano e si spopolano seguendo la necessità di lavoro in agricoltura o nel settore turistico, gravando sui servizi locali solo in alcuni periodi”.
Nell’immediato è tuttavia l’approccio ai servizi che andrebbe ripensato, dice Lingua, “chiamando in causa un governo del territorio che vada oltre gli standard, verso una gestione di 'prossimità allargata' che preveda la cooperazione e la collaborazione tra comuni".
Andrea Scarchilli - Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica