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Salva Milano, si salvi chi può. Il commento di Pietro Garau

08/12/2024

Il Senato della Repubblica si appresta ad approvare un disegno di legge che, in sintesi, permetterà di aumentare considerevolmente i volumi esistenti in aree urbanizzate attraverso interventi di “ristrutturazione” concertati privatamente tra costruttori e sportelli edilizi comunali senza alcun controllo od inquadramento urbanistico.

Il disegno di legge è noto come “Salva Milano”. Questa caratterizzazione assume inevitabilmente un aspetto ironico: non si tratta naturalmente di salvare la città da chissà quale minaccia. Si tratta invece di salvare progettisti, costruttori e funzionari dai procedimenti aperti dalla magistratura; e più in generale, di salvare un’idea dello “sviluppo urbano” basata sull’attrazione di investimenti nell’edilizia di pregio, su un concetto rapido e sbrigativo di metamorfosi urbane, su un modello di vita opulento ed esclusivo, su processi intensi ed estesi di gentrificazione, e la conseguente espulsione dei residenti meno abbienti e delle attività economiche di prossimità. Se vogliamo, un esempio di darwinismo urbano.

La faccenda interessa molto da vicino anche chi, come noi, ha a cuore lo spazio pubblico. Ciò che colpisce è che le sedicenti ristrutturazioni milanesi non costituiscono necessariamente un aumento del “consumo di suolo”. Anzi: si può benissimo sostituire un vasto capannone di quattro metri di altezza con una torre di venti piani che finisce per occupare una superficie minore. Ma quello che accade è un fatto altrettanto grave: un “consumo di spazio”. Non si tratta solo dell’occupazione verticale di uno spazio precedentemente libero, né delle violenze fatte ad un paesaggio urbano precedentemente assai più tranquillo. Il problema è che la densificazione edilizia produce consumi indotti di spazio i cui effetti si manifestano solo a cose finite. Una torre di venti piani dove prima non c’era nulla significa innanzitutto automobili: quindi necessità di spazi per il parcheggio di residenti e visitatori e, naturalmente, effetti di congestione degli spazi pubblici dedicati a funzioni di trasporto privato e pubblico. I nuovi residenti creano inoltre una domanda di spazi aggiuntivi: scuole, verde, ed altre attrezzature collettive.

A parte il non irrilevante e tuttora vigente decreto n.1444 sugli standard, a tener conto di queste cose esiste una misura di equità urbana chiamata “oneri di urbanizzazione”. Ma pare che nel caso degli interventi sotto esame il calcolo degli stessi abbia concesso generosi sconti ai costruttori - un altro esempio di “consumo di spazio”, questa volta virtuale: si riduce lo “spazio di manovra” delle amministrazioni locali, sempre più povere di risorse ed intimidite di fronte alla forza di un modello di sviluppo urbano che non tollera ritardi né vincoli. E si riduce drammaticamente lo “spazio dell’ urbanistica “, la sola in grado di garantire un minimo di coerenza ed equità alla magnifiche sorti e progressive dei nostri radiosi orizzonti urbani. E si vanifica, a causa dell’inevitabile lievitazione dei prezzi delle abitazioni e dei costi della vita di ogni giorno, lo “spazio di vita” di chi contava di rimanere a vivere dov’era, conducendo un’esistenza semplice che non è più tollerata nelle città del pensiero unico.

Che fare quindi? In attesa delle reazioni delle organizzazioni professionali, e scontate le denunce di Italia Nostra e Legambiente, va dato credito ad un istituto di alta cultura come l’INU di essersi pronunciato chiaramente in merito. A questo disastro annunciato sarebbe utile si opponessero anche le benemerite associazioni di cittadini, attente a specifici problemi locali. Il problema è che una volta diventata legge, il “Salva Milano” rischia di far precipitare sul locale una valanga inusitata di nuovi problemi. È proprio il momento di invertire la nota parola d’ordine da “thinking global, acting local” a “thinking local, acting global”.

 

Pietro Garau - Presidente Associazione Biennale Spazio Pubblico

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